Alfredino, Eitan e la «Carta» disattesa

Il 10 giugno 1981, data dell’incidente di Vermicino in cui morì cadendo in un buco Alfredo Rampi, un bambino di sei anni poi chiamato da tutti Alfredino, non fa parte dei miei ricordi. So però che la Rai fece una diretta di 18 ore che inchiodò allo schermo 21 milioni di italiani. Si parlò in seguito di spettacolarizzazione del dolore, e Vermicino diventò un tassello importante nella discussione che avrebbe portato alla firma della «Carta di Treviso» nel 1990, il protocollo che regola i rapporti tra informazione e tutela dell’infanzia. E che più o meno sistematicamente viene violato dai cronisti da allora.
Dice la Carta, per esempio, che bisogna tenere l’anonimato di un minore coinvolto in fatti di cronaca, evitando di fornire elementi che possano portare alla sua identificazione per non turbarne lo sviluppo. Di Eitan Biran però, l’unico sopravvissuto all’incidente del Mottarone, conosciamo nome e cognome, suoi e dei familiari, abbiamo seguito giorno per giorno le cure in ospedale, e sappiamo perfino i suoi progressi con gli psicologi. Senza che nessuna di queste informazioni abbia davvero mai aggiunto qualcosa di rilevante alla vicenda della funivia.
Ecco, a quarant’anni dalla morte di Alfredino e a trenta dalla firma della Carta si può fare di meglio. Cominciando dall’evitare un sensazionalismo che nel 2021 ha davvero superato la sua epoca.
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