«Adottato da Brescia, ora è bloccato a Kabul e non può tornare»

L'esperienza terribile di un ventenne rifugiato che è stato ospite di uno Sprar gestito da Adl Zavidovici. Zanni: «I sindaci non siano soli»
Profughi afghani ammassati al confine con il Pakistan nei giorni scorsi
Profughi afghani ammassati al confine con il Pakistan nei giorni scorsi
AA

«Lo abbiamo sentito, è disperato. Aveva un biglietto aereo per tornare in Italia proprio il 19 agosto ma ora è bloccato a Kabul, con un aeroporto inavvicinabile e tutti i voli saltati. Non sa che fare. Non ha altra scelta che ritentare il terribile viaggio già percorso da ragazzino attraverso Pakistan, Iran, Turchia e poi la Balcan Route». Maddalena Alberti, responsabile dei progetti Sai (ex Sprar) che Adl Zavidovici gestisce nel Bresciano, racconta: «È un nostro ex utente, siamo rimasti in contatto. Da poco visto il suo stato di asilo trasformato in permesso di lungo soggiorno, quindi poteva finalmente viaggiare. Era tornato a Kabul, da cui era partito ragazzino e dove c’è la madre che non aveva più visto. Avrebbe dovuto ripartire per l’Italia proprio il 19, ma ora è impossibile».

Maddalena Alberti conferma che i centri Sprar della nostra provincia (sono 12, 5 dei quali gestiti da Adl Zavidovici) hanno negli anni accolto richiedenti asilo afgani, alcuni dei quali dopo il percorso di integrazione sono rimasti sul nostro territorio. «Li sentiamo regolarmente, per loro sono giorni di grande angoscia. Le linee telefoniche sono saltate, internet è bloccato, per loro mettersi in contatto con i familiari in patria è praticamente impossibile». La presa del potere talebana in Afghanistan ha riaperto anche in Italia il dibattito sui corridoi umanitari e sull’accoglienza dei profughi. «Lo strumento operativo - conferma Maddalena Alberti - è quello della rete Sai, quelli che fino a poco tempo fa si chiamavano progetti Sprar. Se a livello internazionale verranno attivati i corridoi umanitari, i Comuni aderenti potranno dare la disponibilità di posti o anche attivarne di nuovi. Una scelta che sicuramente in questo momento può essere sostenuta da una forte spinta emotiva, anche se l’emozione da sola non può bastare».

In Adl Zavidovici, infatti, c’è la convinzione forte che «la disponibilità all’accoglienza deve viaggiare di pari passo con la difesa dei diritti umani. Attenzione che deve valere tanto sulla Balcan Route quanto sulle rotte mediterranee. I diritti umani sono diritti della persona, di ogni persona. Non solo se proviene dall’Afghanistan».

Il ruolo dei Comuni nell'accoglienza dei profughi

Il dibattito italiano sull’accoglienza di profughi ha investito direttamente il ruolo dei sindaci e degli enti locali. Spiega Gabriele Zanni, sindaco di Palazzolo e presidente dell’Associazione Comuni Bresciani: «Penso che in linea di principio sia assolutamente corretto ed eticamente doveroso far fronte a un’emergenza umanitaria come quella afgana. Da un punto di vista operativo riscontro molte difficoltà nel lasciare in capo ai sindaci la responsabilità di attivare strutture di accoglienza, soprattutto se lo strumento è quello dei Sai. Questo perché il sistema è fermo da tempo e anche gli ampliamenti o i nuovi progetti sono bloccati dal ministero ormai da un paio d’anni. In più questo sistema implica che ci sia un ente locale che si faccia carico direttamente di attivare il progetto come capofila. Con una serie infinita di adempimenti burocratici e rendicontativi che scoraggiano nuove adesioni. Purtroppo anche in altre situazioni come Acb abbiamo fatto molta fatica a trovare un numero consistente di Comuni che aderissero a un sistema di accoglienza diffusa». «Pur auspicando - conclude Zanni - come dice Anci che i sindaci siano pronti a lavorare su questa enorme tragedia l’esperienza dice ahimé che sono ancora una minoranza gli enti locali che si sono dimostrati disponibili all’accoglienza».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato