A Brescia sono rimaste poche persone a due anni dall’addio all’Afghanistan

Operazioni speciali, corridoi umanitari, ingressi illegali. Più vie accesso per un Paese, come il nostro, che rimane la porta più ambita dalla quale poi tentare di raggiungere Europa e America.
Due anni fa i talebani sono tornati a Kabul. Sono bastati loro tre mesi e mezzo per far di nuovo sventolare la bandiera dell’Emirato islamico. Era il 15 agosto del 2021 ed erano trascorsi quasi vent’anni dall’invasione americana dell’Afghanistan.
Le immagini
Nei nostri occhi sono ancora impresse le immagini drammatiche delle persone dirette all’aeroporto per cercare una via di fuga disperata dai talebani, la stessa messa in atto dai diplomatici occidentali.
Tra quelle persone, circa duecento a rotazione sono state ospitate a Edolo, destinazione scelta dal ministero della Difesa come sede provvisoria dei profughi in arrivo dal paese asiatico. Provvisoria, anche perché oggi in tutta la provincia i residenti afghani sono 142, residenti storici compresi.
Le opportunità
Nel 2021 il trasferimento terminò il 27 agosto, giorno che segnò la conclusione dell’operazione «Aquila Omnia», messa in atto il 13 agosto dalla Difesa italiana. Gli afghani condotti in salvo sono stati 4.890. Di questi, appunto, circa duecento hanno trascorso un periodo nella nostra provincia, prima di essere inseriti a fatica, per la carenza di posti, nel Sai, il sistema di accoglienza e integrazione. Un percorso che per una sessantina di persone sta continuando (nel Sai si può rimanere per sei mesi prorogabili).
Per altre, altrove. Alcune famiglie hanno scelto di trasferirsi in Canada. Maddalena Alberti, direttrice dell’Associazione Adl-Zavodivici che ospita una quindicina di afghani richiedenti protezione internazionale, sottolinea che, mentre le persone arrivate attraverso l’operazione «Aquila Omnia» sono state accolte a braccia aperte, tutti coloro che mettono piede sul nostro territorio attraverso altri canali - pur essendo afghani - incontrano moltissime difficoltà.Intanto, nel Bresciano, ad esempio, non è stato accolto nessun afghano attraverso il corridoio umanitario che costituisce una prosecuzione ideale dell’evacuazione d’emergenza da Kabul condotta nell’agosto 2021 e di successivi interventi umanitari che hanno come obiettivo di offrire a ulteriori rifugiati e perseguitati afghani la possibilità di vivere altrove. L’operazione prevede, attraverso voli in partenza da Pakistan e Iran e da altri Paesi della regione, un complessivo trasferimento in Italia di 1200 cittadini afghani in condizioni di particolare vulnerabilità e rischio. Dunque, nessuno tra questi è accolto nel sistema di accoglienza bresciano che, con i suoi 667 posti totali occupati da persone arrivate soprattutto dall’Africa, è già ampiamente saturo.
Le discriminazioni
Operazioni speciali, corridoi umanitari e, soprattutto, ingressi illegali. Che, a loro volta, aprono un altro fronte di discriminazione: chi entra in Italia, in questo caso soprattutto persone singole e non famiglie, attraverso la rotta dei Balcani riceve un trattamento differente da chi percorre la via del Mediterraneo.
A far la differenza è la parola «salvataggio». Chi sbarca entra subito nel sistema di accoglienza dei luoghi di smistamento. Gli stranieri soccorsi in mare vengono condotti in centri localizzati nei pressi delle aree di sbarco per la prima assistenza sanitaria, il fotosegnalamento e la pre-identificazione. Nei centri c’è anche il primo scambio di informazioni sulle procedure per l’asilo: è qui che si differenziano i richiedenti asilo dai cosiddetti migranti economici, che saranno avviati ai centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) o lasciati sul territorio in condizione di soggiorno irregolare. C’è anche da dire, poi, che tra le prime dieci nazionalità dichiarate al momento dello sbarco (dati ministero dell’Interno aggiornati al 10 agosto), quella afghana non c’è.
Le ingiustizie
Gli afghani che arrivano illegalmente percorrono la rotta balcanica. Che è un capitolo a parte, meno mediaticamente scenografica di quella marittima ma non per questo meno drammatica.
Nei primi sei mesi del 2023 (dati di Frontex, l’agenzia europea guardia di frontiera e costiera) dai Balcani in Italia sono arrivati 3.921 afghani, la seconda nazionalità dopo quella siriana. Non si sa quanti decidono di raggiungere Brescia. Si sa, però, che se chiedono un appuntamento in questura per la domanda di asilo, l’attesa va dai sei ai dieci mesi. Durante i quali sono costretti a sopravvivere rendendosi invisibili.
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