Ambiente

Negli ultimi 23 anni l'Adamello ha perso la metà del suo ghiaccio

Si sono fusi, dimezzandosi, gli 870 milioni di metri cubi del volume del ghiacciaio, che secondo Climbing for Climate scomparirà entro il 2090
CLIMA, RISULTATI PREOCCUPANTI
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Negli ultimi 23 anni l’Adamello ha perso oltre la metà del suo ghiaccio: gli 870 milioni di metri cubi censiti a fine millennio scorso si sono dimezzati a causa dell’aumento delle temperature e del minore accumulo di neve che protegge la superficie ghiacciata.

È uno dei numeri più sconvolgenti emersi delle rilevazioni di Roberto Ranzi, docente dell’Università degli Studi di Brescia, e di Paolo Colosio e Usman Liaqa sulla base dei dati dei satelliti Aster e Landsat elaborate per il progetto Climbing for Climate. Sulla base di queste cifre i ricercatori - che oggi sono tornati sul gruppo dell’Adamello per nuovi monitoraggi - hanno confermato quello che gli studi dicono da tempo, e cioè che secondo i modelli climatici e i calcoli effettuati il ghiacciaio dell’Adamello scomparirà entro il 2080-2090.

I numeri della riduzione del ghiacciaio

Le cause sono da ricercare nel cambiamento climatico innescato dalle emissioni di gas serra prodotte dall’attività umana, che hanno provocato un innalzamento della temperatura e una riduzione delle precipitazioni, dunque di neve. Dal 2007 la superficie del ghiacciaio dell’Adamello, il più grande d’Italia, ha perso quasi due chilometri quadrati: è passato dai 15,7 chilometri quadrati ai 13,1 del 2022, con un ritiro dell’11% ogni dieci anni. La conseguenza è che l’Adamello non è più un’unica massa di ghiaccio perché si sono ormai staccate placche isolate sotto il Dosson di Genova, il Passo della Lobbia, la Cima Venerocolo, il Corno Bianco.

Secondo le misurazioni, che vengono effettuate in modo sistematico dalla metà degli anni Sessanta nel sistema idrografico del Sarca-Chiese-Oglio, l’accumulo di neve è diminuito tra il 5% e il 6% ogni dieci anni rispetto al valore di 800 millimetri di equivalente in acqua misurati al di sopra del 2500 metri in aprile all’inizio del periodo di monitoraggio. Significa che c’è sempre meno neve a proteggere il ghiaccio, che si ritrova quindi più esposto alle temperature elevate e si scioglie più velocemente (un dato su tutti: le temperature dell’aria presso la diga di Pantano d’Avio, ai piedi del Monte Adamello sul versante lombardo, sono aumentate di circa 0.4°C ogni dieci anni). Uno degli effetti più visibili è la formazione di un lago alla fronte del ghiacciaio, che gli studiosi hanno soprannominato Lago Nuovissimo.

Dal punto di vista glaciologico le misure di bilancio di massa effettuate nel 2022 dai glaciologi lombardi e trentini attestano una perdita media di spessore più che doppia rispetto alla media calcolata dal 1995 al 2009, quando si sono fusi ventiquattro metri di spessore con una perdita media netta di equivalente in acqua di 1440 mm all’anno.

L'appello

Climbing for Climate lancia quindi un appello: «Siamo ancora in tempo per scegliere il nostro futuro climatico. Siamo ancora in tempo per scegliere un futuro sostenibile che metta al primo posto la sicurezza, la salute e il benessere delle persone, come previsto dagli obiettivi europei di riduzione delle emissioni del 55% al 2030 e di neutralità climatica al 2050. Possiamo farlo anche grazie a una corretta comunicazione e alla cooperazione tra noi tutti».

Queste sono le azioni che per i ricercatori l’Italia dovrebbe intraprendere al più presto:

  1. individuare analiticamente e su base integrata e sistematica i rischi per la preservazione del patrimonio territoriale e le opportunità e i benefici della sua tutela e valorizzazione, attraverso valutazioni quantitative integrate e nella prospettiva degli SDGs 2030;
  2. adottare più rigorosi meccanismi di pricing delle emissioni, in grado di ridurre drasticamente l’impronta ecologica in tutti i settori-chiave: industria, trasporti, turismo, energia, edifici, agricoltura, acque, suolo, ecc.;
  3. individuare e implementare rapidamente misure incentivanti concrete e strumenti finanziari innovativi che il settore pubblico e privato possano impiegare per la protezione, rigenerazione e valorizzazione dell’ecosistema e dei suoi servizi, in chiave sostenibile;
  4. rivedere il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), allineando i suoi obiettivi almeno con quelli di “Fit for 55” dell’UE e con l’azzeramento delle emissioni nette al 2050 e affiancandolo con un piano credibile di attuazione;
  5. attuare una profonda revisione dei sussidi ambientalmente dannosi riducendo drasticamente i sussidi diretti e indiretti alle fonti energetiche fossili;
  6. mobilitare investimenti, sostenere cultura, ricerca, tecnologia e innovazione per la conservazione e valorizzazione del patrimonio locale.

 

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