L'ingegnera innamorata del mare che protegge le nostre coste

Innamorata del mare. Per lei, che è nata in una delle città più industrializzate ed inquinate del Paese, non è una contraddizione. Anzi. È innamorata al punto che è diventato il centro del suo lavoro e della sua attività di ricerca, forse proprio pensando alla sua terra lombarda e al peso per il benessere di tutti che deriva dall’interazione tra acqua e territorio. Aveva sedici anni Renata Archetti quando intuì che quella sarebbe stata la sua strada, ma ne fu pienamente consapevole un giorno in cui stava seguendo le lezioni del corso di Ingegneria costiera al Politecnico di Milano al quale era iscritta dopo aver frequentato il «mitico» liceo Calini. «Mi sono subito detta: ecco, io voglio fare questo. Certo, ho anche pensato che sarebbe stato difficile da credere e da far credere che uno potesse fare l’ingegnere e studiare come si progettano e tutelano le coste. Sono riuscita ed ho proseguito su quella strada».
Il personaggio
Una passione che non ha mai fatto registrare battute d’arresto, tanto che la bresciana Renata Archetti, professore di Idraulica e docente di Ingegneria del Mare all’Università degli Studi di Bologna, nei giorni scorsi ha presentato alla Camera dei Deputati i risultati del progetto «Stimare», ricerca da lei coordinata e condotta in collaborazione con il prof. Leonardo Damiani del Politecnico di Bari, sulle strategie innovative per il monitoraggio e l’analisi del rischio erosione. Spesso si associa l’idea di coste alle spiagge per uso turistico. È riduttivo, naturalmente, perché le spiagge sono anche la linea di interfaccia tra mare e terra e la loro corretta gestione ed il loro mantenimento diventano fondamentali in una adeguata pianificazione della gestione del territorio sia nell’immediato sia nel futuro, tenendo conto delle emergenze da affrontare, su tutte quella dei cambiamenti climatici.
«Vi è una rinnovata ed importante sensibilità nei confronti dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici, tant’è che anche nel Piano nazionale di ricerca e resilienza si parla espressamente di rischio idrogeologico - spiega Archetti -. Per me questo è molto importante, come lo è l’attenzione del programma europeo per la ricerca e l’innovazione Horizon Europe che stanzia per i prossimi anni ingenti risorse per trovare soluzioni alle grandi sfide che vanno dalla ricerca sul cancro a quella sui cambiamenti climatici, con interventi mirati su oceani, mari, coste ed acque interne di laghi e fiumi. Del resto l’erosione delle nostre coste, approfondita con il progetto Stimare, altro non è se non l’alterazione del ciclo dei sedimenti che arrivano dai fiumi e si depositano sulle spiagge. Questa è in assoluto la prima causa dell’erosione e nasce molto a monte rispetto al mare».
Come stanno le coste italiane

L’Italia ha novemila chilometri di coste, di cui quattromila basse e sabbiose. Di queste ultime, il 42% vive il fenomeno dell’erosione. «Con il progetto Stimare abbiamo messo a punto soluzioni per proteggere le coste da erosione e allagamenti - spiega Archetti -. L’aumento delle aree costiere interessate da imponenti processi erosivi rende impossibile reperire le risorse necessarie per mettere in sicurezza l’intero territorio. Serve, quindi, uno strumento oggettivo per stabilire le priorità verso cui indirizzare le risorse disponibili. Prevenzione e valutazione del rischio sono ancora di grande aiuto, anche se alcune realtà sono fortemente compromesse, ma non possiamo arrenderci».
Il problema della plastica

Non esistono fenomeni isolati. Come la passione di Renata Archetti per il mare e per i venti non è isolata da quella per i ghiacciai e per le scalate estreme che si concede tra un impegno e l’altro, senza sosta: «Mi sono occupata anche di ghiacciai all’Università di Brescia», racconta. Una parentesi dei suoi studi compiuti nei principali laboratori europei di modellistica del mare, dall’Inghilterra alla Danimarca, dall’Olanda alla Germania fino a spostarsi nella splendida Barcellona. Si arrabbia quando parla dell’inciviltà degli esseri umani: «Le politiche ci sono, certo, anche le leggi. Ma la plastica in mare non ci finisce da sola, è ovvio. Dovremmo essere tutti consapevoli che dall’equilibrio dell’ecosistema marino deriva anche la nostra sopravvivenza, non solo quella della fauna che vive in mare. I mari, e gli oceani, ci donano ossigeno, assorbono anidride carbonica e contribuiscono a regolare il clima della terra. Ebbene, questo ecosistema rischia di affogare nella plastica, così come rischia di essere compromesso lo scambio di energia tra il mare, serbatoio di calore, e l’atmosfera. Sono alterazioni che non possiamo più permetterci di sottovalutare perché causano danni seri alla nostra salute. A maggior ragione in una fase in cui stiamo faticosamente uscendo da una devastante pandemia».
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