Ambiente

Aria malata, Brescia e la Lombardia da maglia nera: 6 mesi per recuperare

Nella nostra provincia la concentrazione delle polveri ultrafini superano di molto i limiti. Il diktat dell’Ue: servono provvedimenti attuativi
L'ARIA DELLA PIANURA PADANA NON MIGLIORA
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Timida nota positiva: sì, la concentrazione media rispetto al 2018 è lievemente calata (-1,8). Ma a Brescia continua a tirare decisamente «una brutta aria»: anche per questi primi otto mesi del 2023 il nostro territorio resta in cima alla classifica delle province più inquinate d’Italia.

La posizione numero 15 è evidenziata da una sequela di bollini rossi, segno che la concentrazione media di Pm 2,5 (le polveri ultrafini che derivano da produzione di energia, riscaldamento domestico e traffico automobilistico) è di gran lunga superiore alla soglia limite di 10 microgrammi per metro cubo: in questi primi mesi siamo a quota 17,3.

A riportare il dossier aria malata sul banco degli imputati è il monitoraggio effettuato dall’emittente pubblica tedesca Deutsche welle, in collaborazione con l’European data journalism network di cui fa parte anche il quotidiano italiano Il Sole 24 Ore.

Cosa sta cambiando

Stavolta - dopo i reiterati richiami - a mettere alle strette Lombardia, Piemonte e Veneto sono pure Governo e Unione europea. L’ultimatum dell’esecutivo (formalizzato attraverso il decreto legge 121/2023, sul tavolo della Commissione ambiente del Senato) è questo: le Regioni hanno sei mesi di tempo per aggiornare i rispettivi piani sulla qualità dell’aria e procedere con i relativi provvedimenti attuativi, anche perché la Corte di giustizia dell'Unione europea non intende più concedere sconti e le multe per le continue infrazioni sono salate. Non solo.

Il Consiglio europeo intende inasprire i parametri, seguendo alla lettera la proposta dell’Organizzazione mondiale della sanità. Tradotto: di fronte alle evidenze epidemiologiche che certificano come oltre 55mila persone all’anno in Italia (232 nel Bresciano, stando allo studio più recente firmato da The Lancet) muoiano a causa dei veleni atmosferici, l’Oms ha deciso di dimezzare i limiti di legge attuali. I futuri valori guida si attesteranno dunque in 5 microgrammi per metro cubo per Pm 2,5 e 10 per il biossido di azoto. L’orizzonte è quello del 2035 con una verifica nel 2030. E a chi - come i governatori - sfodera il leitmotiv della «deroga necessaria per la Pianura Padana» invocando «obiettivi più realistici», Bruxelles ribatte con una serie di simulazioni ad hoc per dimostrare, al contrario, che «cambiare aria» anche in Pianura Padana è possibile in meno di un decennio.

La ricetta si conosce già da tempo: abbattere il traffico (e, quindi, incentivare il trasporto pubblico), pensionare i veicoli più inquinanti, abbattere la combustione di biomassa (che rappresenta ancora il 20% del riscaldamento del territorio) e ridimensionare le emissioni di ammoniaca che derivano dalle attività agricole e zootecniche.

Cosa sta facendo Brescia

Ma concretamente, sul nostro territorio cosa si sta facendo? Si procede con fatica. Laddove si investe sulle infrastrutture pubbliche, come nel caso di Brescia che - dopo la metropolitana - è ora alle prese con la realizzazione del tram, nel contempo si alzano i prezzi dei biglietti di un trasporto pubblico che però non offre ancora un servizio migliore o più competitivo. E questo perché il piatto piange: Roma finanzia (seppur con fatica) i progetti infrastrutturali, ma poi la gestione resta spesso solo sulle spalle dei singoli Comuni. Lo stesso quadro si ricalca sul fronte dei treni regionali: il servizio scricchiola, i prezzi aumentano.

Il punto è: se la transizione ecologica è una priorità, non può esserlo solo filosoficamente parlando, non può restare un dibattito relegato a tavoli di lavoro infiniti. Deve esserlo in modo concreto, il che si traduce in un solo modo: stanziare i fondi necessari per attuarla, rendendola così davvero un obiettivo primario, a partire - ad esempio - da un impegno economico più coraggioso della Regione a sostegno del trasporto pubblico locale. È una scommessa per tutti e di tutti: per chi amministra, ma anche per le aziende e per il mondo agricolo. Non lo chiede solo Bruxelles o gli attivisti del clima, lo evidenziano i dati scientifici che sempre più spesso lo ricordano: di inquinamento ci si ammala e si muore. 

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