Sclerosi. Le vene potrebbero avere un ruolo centrale

Allo studio l'ipotesi di un legame con l'insufficienza venosa cerebrospinale.
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L'insufficienza venosa cerebro-spinale cronica (Ccsvi) descrive un'anomalia del flusso di sangue in cui il sistema venoso, a causa di malformazioni che determinano un restringimento delle principali vene cerebrali, non è in grado di drenare efficacemente il sangue dal cervello e dal midollo spinale.
Studi preliminari condotti dal professor Paolo Zamboni e dai suoi collaboratori all'Azienda Ospedaliera - Universitaria di Ferrara e successivamente parzialmente confermati dallo studio del dottor Zivadinov dell'Università di Buffalo in America, hanno condotto il prof. Zamboni a suggerire che la Ccsvi sia fortemente associata alla sclerosi multipla e ipotizzare che possa contribuire alla formazione dei danni del sistema nervoso centrale che caratterizzano la malattia.
Questi dati e queste ipotesi non sono stati confermati da studi successivi recentemente pubblicati. Tuttavia, l'interesse sull'ipotesi formulata da Zamboni è altissimo, sia a livello nazionale sia internazionale. L'Associazione italiana sclerosi multipla ha promosso e finanziato uno studio epidemiologico e multicentrico, partito da poco, che valuterà 2.000 soggetti, tra individui sani e malati, in 35 centri neurologici (tra questi, il Centro di riferimento regionale sclerosi multipla dell'Ospedale Civile, con sede a Montichiari). In attesa dei risultati scientifici, il dibattito non si ferma, fino a formare due partiti: uno «pro» metodo Zamboni, l'altro «contro». La malattia, che coinvolge migliaia di persone, non ha colore politico e le ipotesi che stimolano la ricerca su nuovi filoni sono di grande interesse e ricchezza per il mondo della scienza. E di grande speranza per chi soffre. Ma non bisogna bruciare le tappe. «La sclerosi multipla non si può certo curare semplicemente riaprendo una vena occlusa»: è estremamente cauto Alberto Zangrillo, presidente della Seconda Sezione del Consiglio Superiore di Sanità, nel valutare il metodo Zamboni come possibile terapia di una malattia neurodegenerativa che colpisce circa 60 mila italiani. «Bisogna porre estrema attenzione a che il metodo Zamboni non passi come una cura miracolosa - dice Zangrillo -: la strada della scienza è ben altra». Il pericolo, infatti, è che i pazienti si illudano di avere a disposizione già un risultato scientifico accertato, quando invece, per Zangrillo, «l'insufficienza venosa cerebrospinale cronica (Ccsvi), che Zamboni vedrebbe strettamente correlata alla sclerosi, non è nemmeno ancora stato dimostrato che sia una vera malattia». Anche perché, secondo gli esperti, è dimostrato che la sclerosi multipla abbia un'origine multifattoriale, «e non è solo una presunta alterazione anatomica a poterla scatenare». «La via maestra - conclude il medico - è quella di affidarsi a risultati che derivano da studi clinici controllati. Il nostro obiettivo è prima di tutto la salute del paziente. Non basta una singola intuizione perché si trovi subito una cura, così come non basta un singolo caso di potenziale guarigione per poter credere che si sia trovata la giusta via di trattamento».
Anna Della Moretta

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