Cultura

San Faustino, un "social movie" da applausi

Siamo andati a vedere la prima del film “Le strade di San Faustino”: ecco la recensione di Emanuele Galesi.
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Capita di scorgere un amico, capita di vedere per pochi secondi il proprio cane. Capita di riconoscere una mosca da bar oppure semplicemente di ritrovare le vie note di ogni giorno. Succede nel percorrere “Le strade di San Faustino”, il film realizzato da amici e appartenenti alla medesima tribù diretti da Cristian Micheletti.

Presentato domenica nella serata conclusiva del 4/qUARTI al parco Castelli, è stato accolto da centinaia di spettatori (1000? Di più? Non c'era un buco per sedersi) con applausi a scena aperta e risate collettive. Lo si potrebbe definire un poliziottesco con inserti demenziali, ma di fatto è un social movie. È un lungometraggio, ma la trama è praticamente ininfluente.
Vero, ci sono poliziotti, un boss da catturare, vecchi conti da chiudere. Questo però importa poco. “Le strade di San Faustino” vale più per la dimensione sociale. Della visione, perché funziona se proiettato davanti ad una comunità che si autorappresenta (facce note, locali, luoghi del quotidiano) e si autoriconosce. Della rilettura, perché durante e dopo la proiezione è tutto un “Hai visto quello?” o “Sai che mi si vede mentre passo?” e ancora dettagli sui luoghi messi sullo schermo.

Dimensione sociale della promozione, perché è da anni che si sente parlare del film, sia direttamente dalle persone che vi hanno partecipato a vario titolo, sia indirettamente dal 2008 nei racconti di un blog e su facebook.
L'attesa, insomma, era alta. Non è la prima volta che in città si vedono giochi simili, si può citare Bloody Pizza – Intrigo a Roncadallas, ma mai nessuno aveva ricevuto un'accoglienza simile. Merito anche dell'arena scelta per la prima, nel programma di un 4/qUARTI affollato e vissuto.
“Lo conosco quello. È Sergio, il cugino di Ciocco.” Un'informazione di questo tipo  aggiunge poco o nulla alla comprensione del film, soprattutto se non si conosce Ciocco. Ma spiega il meccanismo con cui si partecipa al riconoscimento collettivo. Fuori dall'ambito di chi frequenta la città e il centro con un'età tra i 20 e i 45 anni è un lavoro che difficilmente potrebbe funzionare. Anche se ha alcune sequenze ben costruite  (le strade di San Faustino che scorrono veloci) velocizzate, dialoghi che in certi casi risultano proprio  divertenti (qualche lungaggine qua e là) e scene già citate come cult dopo la prioiezione (la sequenza delle armi presentate ai poliziotti).

Tra i pregi vi è anche la musica con il possibile hit cittadino che cita nel ritornello il titolo del film. E i difetti? Sarebbe inutile parlarne. Non è un'opera che va sezionata, va sfruttata per passare una serata insieme, vicini a centinaia di persone.
Un'occasione come quella di domenica potrebbe non capitare più. Ci sono eventi che non possono essere ripetuti, che funzionano al massimo in un dato luogo e momento: fa parte delle sorprese e delle variabili imprevedibili della vita sociale.
Un'ultima considerazione anagrafica: i più giovani non ridono alle battute su Sandy Marton, i più grandicelli ricordano con nostalgia locali e negozi ormai chiusi. Cinque anni di lavorazione consegnano al film un piccolo bagaglio di memoria storica. Che, come il “Ciao” rombante usato dai poliziotti, fa già “molto vintage”.
Emanuele Galesi
e.galesi@giornaledibrescia.it
 

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