Lucia, una vita per il prossimo: la devozione della Valsabbia

«La mia vocazione è la sofferenza». Sono parole che hanno accompagnato ogni giorno della breve, ma intensa vita di Lucia Tononi. Una ragazza nata a Gazzane di Preseglie il 10 agosto 1967 e che, nonostante dolori profondissimi, ha trascorso i suoi 23 anni sempre con il sorriso e sempre al servizio del prossimo, impegnandosi anche ad alleviare i patimenti degli ospiti del Cottolengo di Torino.
La fede ha guidato ogni giorno della sua breve esistenza. Lucia moriva il 5 luglio 1990, a distanza di trentadue anni, grazie alla straordinario impegno della sua famiglia, il suo nome è invocato nella preghiera per continuare ad aiutare il prossimo.
Testimonianza
Scrive don Luigi Bresciani nel volume che le ha dedicato (edito da Ancora): «Lucia Tononi è passata sulla scena di questo mondo come un fiore, ma un fiore appeso a una croce». La festa di santa Lucia è l’occasione per ricordare, una volta in più, questa straordinaria figura che tanta devozione ha attirato attorno a sé dopo la morte. Il titolo del tema per l’esame di terza media è «Autoritratto di un’adolescente», scrive Lucia: «Sono una ragazza triste, generosa. Mi piace la compagnia, sogno la felicità e sono molto sensibile. Mi senso di peso per la mia famiglia. Certe volte sogno la felicità, ma penso: quando avverrà? Forse presto, forse mai».

Lucia cresce inizialmente senza problemi, è una piccola particolarmente vivace. A due anni e mezzo i primi sintomi di quello che sarà il calvario che la porterà alla morte giovanissima. Una visita stabilisce che si tratta della sindrome di Ollier, un morbo che le ha già preso tutte le ossa.
Il 13 dicembre 1982, appunto giorno del suo onomastico scrive: «Mi hanno mandato al Rizzoli di Bologna perché dovevo fare il controllo al braccio e così mi hanno fatto fare anche una radiografia alla schiena. Il mio dottore mi dice: risulta che c’è un male peggio di un tumore. (Tu pensa che complimento). Per fortuna con altri esami non è risultato quello che pensavano. Ma non sto ancora bene. Vivo in continuo con pastiglie e non sono ancora sicuri che cosa ho». All’età di 17 anni Lucia viene a sapere in che cosa consiste la malattia che la tormenta. Non ne fa una tragedia.
Calvario
Decide, appunto, di fare un anno di volontariato alla Piccola Casa del Cottolengo a Torino. Lucia soffre nel corpo, ma è lieta e serena nello spirito. La gioia che prova nel servire gli ultimi attenua i suoi terribili dolori. Non si lamenta mai. Nel Natale 1985 scrive alla famiglia dal Cototlengo: «Le feste qui le ho passate benissimo, le più belle della mia vita. Vi ho pensato molto e mi sarebbe piaciuto che anche voi foste stati qui a partecipare alla mia gioia».
Ad appesantire il suo calvario si aggiunge un tumore alla testa che la rende in poco tempo cieca all’occhio destro. In famiglia le suggeriscono un pellegrinaggio a Lourdes, lei sgrana gli occhi e così risponde alla nonna: «Tu pensi che io abbia il coraggio di andare a chiedere alla Madonna di farmi guarire con tutti quelli che al Cottolengo stanno peggio di me? Non sia mai, non sia mai». Il dolore alla testa diventa lancinante. Lucia viene operata e per un periodo viene ricoverata alla Domus Salutis. Ma il tumore si ripresenta.
L’ultima speranza è a Lubiana in Slovenia nell’ex Jugoslavia. Ma per Lucia ci sono solo ulteriori sofferenze. Negli ultimi momenti di lucidità trova la forza per abbracciare la mamma, darle un bacio e dirle con un filo di voce:«Grazie di tutto». Fino all’ultimo Lucia, portatrice di luce.
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