Valsabbia

Fatture false per 19 milioni, rottami e «cartiere» nell'inchiesta

Chi sono i due imprenditori ai domiciliari. Indagata poi un’intera famiglia
Rottami e fatture false: due arresti e quattro indagati - © www.giornaledibrescia.it
Rottami e fatture false: due arresti e quattro indagati - © www.giornaledibrescia.it
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Una delle tante fatture false, finite agli atti dell'inchiesta, era stata emessa nei confronti di un uomo che era morto da tempo. «Non abbiamo mai effettuato quei lavori in casa» ha detto la vedova agli inquirenti.

L’inchiesta. «Hanno palesato un’allarmante compulsività nell'emissione di fatture per operazioni inesistenti» ha scritto il gip nell'ordinanza di custodia cautelare che ha portato agli arresti domiciliari Giacomo Armanini, 36enne di Roè Volciano, ed Ermanno Piafrini, 56enne di Bagnolo Mella. Entrambi a capo di società che la Procura definisce «mere cartiere», con fatture false emesse per oltre 19 milioni di euro. I due avrebbero agito per coprire un giro illecito di rottami che avrebbe avuto in un'azienda di Montichiari il cuore, tra carico e scarico di materiale ferroso, dell'attività considerata illegale.

Quella bassaiola è una realtà a gestione familiare con il padre e tre i figli iscritti nel registro degli indagati con le accuse di traffico illecito di rifiuti e autoriciclaggio. Per loro i sostituti procuratori Ambrogio Cassiani e Mauro Leo Tenaglia avevano chiesto l'arresto in carcere, ma il gip ha rigettato la richiesta lasciandoli in libertà.

Traffico di rifiuti. Dalla documentazione sequestrata negli uffici a Montichiari, i carabinieri sostengono che non vi sia traccia formale di 382 consegne di rottami per un volume di circa 1.480 metri cubi, che sarebbero stati raccolti, censiti, stoccati, trasportati e venduti abusivamente, ostacolando l'identificazione della provenienza, traendone in questo modo un ingiusto profitto. Il materiale sarebbe stato ceduto ad altre cinque aziende attraverso falsi documenti di trasporto e con altrettanti falsi certificati End of Waste, quelli che attestano la cessazione della qualifica di rifiuti. Dagli accertamenti degli inquirenti è emerso l’intreccio tra il modo dei rifiuti ferrosi e quello delle false fatture emesse dai due imprenditori finiti ai domiciliari.

Fatture false. Ermanno Piafrini risulta titolare della Ferrum srl, società con sede in provincia di Sondrio. «Istituita al solo scopo di emettere fatture false» scrive il gip. A casa delluomo non è stato trovato un solo documento riconducibile alla sua azienda e i capannoni di Sondrio sono risultati vuoti. Nella zona industriale di Chiuro hanno raccontato di non aver mai visto in quegli spazi operai negli ultimi due anni e pure il responsabile tecnico in merito alliscrizione della Ferrum srl all’Albo Nazionale Gestori Ambientali, sentito in interrogatorio, ha spiegato di non avere contezza delle effettive attività svolte da Piafrini. Eppure la società del bresciano di Bagnolo Mella ha emesso 382 fatture, nei confronti di 22 società, per 17 milioni di euro complessivi. Una montagna di soldi che dai conti correnti italiani è stata poi trasferita allestero. Oltre 12 milioni di euro su un conto corrente ungherese e quasi 5 milioni di euro in Slovacchia e in Croazia.

Secondo i magistrati della Procura di Brescia anche Giacomo Armanini ha agito nello stesso identico modo di Piafrini. La sede legale e operativa della ditta individuale «Armanini Giacomo» risulta essere lo stesso appartamento dove vive il 36enne di Roè Volciano e la società non dispone di alcun veicolo in grado di poter trasferire il quantitativo di metalli dichiarati nei documenti di trasporto destinati allazienda di Montichiari al centro dell’inchiesta. Eppure negli anni 2018 e 2019 a fronte di una spesa poco superiore ai 10mila euro, ha emesso 116 fatture per oltre un milione e centomila euro. Soldi che il 36enne avrebbe ricevuto attraverso bonifico sul suo conto aperto allo sportello di Rezzato delle Poste e poi interamente prelevato in contanti. Al 31 dicembre 2019 lestratto conto faceva infatti registrare un rosso di 11,88 euro. «Ho speso tutto e poi - ha detto durante le indagini - ho interrotto lattività perché guadagnavo poco». Ma per chi indaga, i conti non tornano.

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