Valcamonica

I rifugi bresciani: «Noi ci siamo, lavoriamo alla riapertura»

Aspettano le disposizioni del Governo. Positivo pure il Cai: «Ci sono possibilità organizzando il da farsi»
Il rifugio Tita Secchi, una delle mete più classiche per i bresciani
Il rifugio Tita Secchi, una delle mete più classiche per i bresciani
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Il timore di guardare avanti c’è per tutti: ci sarà lavoro, come sarà l’estate, apriranno i bar e le scuole, in piena emergenza coronavirus? Nel tornado di interrogativi, il Cai nazionale ha giocato d’anticipo parlando della prossima stagione nei rifugi. Scatenando una serie di reazioni e polemiche che, in un momento d’estrema incertezza, ai più sono sembrate un po’ fuori tempo. Al punto che, nelle ultime ore, si è assistito a una sorta di «rewind».

Partiamo dall’inizio: sul quotidiano Repubblica il vicepresidente del Club alpino italiano, Antonio Montani, ha parlato di una «estate mai vista, coi rifugi d’alta quota chiusi», dove gli escursionisti saranno costretti a «gite di un giorno o con tende e cibo nello zaino». Vuol dire che le strutture non potranno «aprire di notte come prima» (e neppure scodellare pasti caldi, come prima), mettendo in dubbio quindi persino la possibilità di «camminare e arrampicare, perché sarà più pericoloso» in assenza di presidi e soccorsi così importanti. Frasi così sicure che hanno mandato in subbuglio il mondo dei rifugisti bresciani, ma anche gli amanti dell’alpinismo e delle passeggiate.

Il primo a sbottare - e non poteva essere altrimenti - è stato Gino Baccanelli, presidente Assorifugi Lombardia (raduna i gestori di 140 strutture), guida alpina e gestore del Tita Secchi. «Come ogni operatore turistico siamo in attesa di capire le modalità, nel rispetto delle norme di sicurezza, mettendo in campo ancora più sforzo di quello che siamo abituati a fare a ogni ripartenza di stagione - afferma Baccanelli -. Noi ci siamo. Ma come? I problemi sono tanti: affitti, personale, costi d’apertura, organizzazione delle provviste, le ipotesi nell’aria sono ancora semplici idee prive di fondamento e studi di fattibilità. Si parla di prenotazioni contingentate, semplice servizio di ristoro, punto d’appoggio per emergenze».

Su un tema tanto delicato anche il presidente del Cai Brescia Angelo Maggiori invita alla prudenza. Certo, ammette che qualche riflessione è stata fatta e che nei prossimi giorni si dovrà iniziare a «costruire dei possibili scenari insieme ai rifugisti». Ma la riapertura non incombe - si parla della terza settimana di giugno - e nel clima generale occorre andare coi piedi di piombo. «Sono un ingegnere - chiosa Maggiori -, abituato a fare le cose con i dati, non con i se, non bisogna fasciarsi la testa. Oggi è impossibile decidere, inizieremo a ragionarci da maggio, quindi calma, è un tema da affrontare, può essere serio ma va concordato coi gestori».

La chiusura dei rifugi sarebbe un problema anche per il Club alpino, visto che sono in programma numerosi interventi, ci sono progetti finanziati e senza contare che mancherebbero gli introiti degli affitti. Dopo una levata di scudi generale, a stretto giro il Cai nazionale ha corretto il tiro, ammettendo che il Club «sta lavorando per scongiurare l’ipotesi: faremo di tutto, sia intervenendo nelle sedi istituzionali per spiegare la differenza tra rifugio e albergo, sia mettendo a disposizione le risorse per contribuire alla riapertura».

Come per tutte le altre situazioni occorrerà quindi aspettare le disposizioni emanate dal Governo. «Nonostante tutto resto con spirito positivo - conclude Angelo Maggiori -, non partiamo con l’idea di chiudere, studiamola bene, ci sono possibilità organizzando le cose diversamente, anche perché le gambe friggono per andare in vetta».

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