Stati Uniti al voto, diario elettorale da Brooklyn del 6 novembre

Il paradosso di queste ore è che quanti hanno votato per Donald Trump - e quindi adesso festeggiano - e quanti hanno votato Kamala Harris - e sono molto preoccupati - si pongono esattamente le stesse domande: davvero il nuovo presidente farà quanto ha promesso in campagna elettorale?
Deporterà centinaia di migliaia di immigrati irregolari? E come? Alzerà i dazi per favorire le merci di produzione nazionale? Userà l’esercito per l’ordine pubblico? Ridurrà l’accesso delle donne all’aborto legale? Costringerà l’Ucraina ad accettare le condizioni di Putin? Per le risposte serve tempo. Nemmeno tanto, forse: da decenni un presidente americano non aveva questo potere, controllando di fatto anche il Congresso, il Senato e perfino la Corte Suprema. Per quattro anni l’ex immobiliarista newyorkese competerà con gli autocrati del passato e attuali, che ha detto di ammirare.
A Greenpoint
Gli americani dovrebbero essere sotto shock, secondo il racconto dei media europei, eppure non è angosciato il risveglio di Greenpoint, a Brooklyn, dove è stato significativo il contributo al buon risultato newyorkese di Harris (il 55,8 per cento dei consensi contro il 48,2 ottenuto da Trump) e alla rielezione, a livello locale, dell'assembleare Emily Gallagher, della senatrice Kristen Gonzalez e della deputata Nydia Velazquez, tutte democratiche. E dove è stata ampiamente approvata la richiesta di inserire il diritto all’aborto nella costituzione dello stato di New York.
Insomma, in questo quartiere che sia affaccia sull’East River la propaganda di Trump non ha attecchito granché. Le mamme e le signore che prendono l’ultimo sole dell’Indian Summer sulle panchine del minuscolo WNYC Transmitter Park hanno più fiducia nei rappresentanti locali che in qualsivoglia governo centrale: «La società di Greenpoint è omogenea, l’età media è bassa, guadagnamo abbastanza, non siamo pessimisti, guardiamo ai prossimi venti, trent’anni».
Come nel 2016, prevale un atteggiamento difensivo, un eduardiano «adda passà ‘a nuttata». Davanti al centro culturale dei polacchi, dove ieri era allestito un seggio, c’è un gruppetto di anziani, compresi un paio di elettori trumpiani. Parla uno a nome di tutti, si chiama Adam Kashinsky, ha 83 anni, è venuto qui con i genitori nel dopoguerra: «Perché non sono stupito del risultato? È semplice, ho tanti amici della mia età e più giovani, a me dicono la verità, e due su tre stanno con il presidente». Che poi è The Donald.
In tarda mattinata torno a Middle Village, nel Queens, dove ieri avevo avuto occasione di conoscere alcuni notabili della folta comunità italiana, che di fatto è composta soprattutto da siciliani di seconda e terza generazione. I più sono di Partanna, Palermo, Messina. Siamo a 45 minuti di metropolitana e 25 di auto da Greenpoint, eppure le due comunità condividono, socialmente e culturalmente, solo la nazionalità americana.
Qui Kamala ha raccolto pochi consensi. Joe, che l’ha votata, non se ne fa una ragione: «Mi aspettavo il vantaggio dell’ex presidente, ma nulla del genere. È un uragano, it’s like hurricane Helene in North Carolina last month, mi capisci?». Qualcuno si presenta all’appuntamento con una troupe televisiva italiana con il berretto rosso calato fino agli occhi. Lo slogan sopra la visiera è, ovviamente, Make America Great Again. Qualcuno sfoggia quello blu con il nome del secondo presidente degli Stati Uniti capace di farsi rieleggere dopo una sosta di quattro anni. A Greenpoint non ne ho visto nemmeno uno, qui c’è l’hanno in tanti, è il segno dell’appartenenza alla squadra vincente. E si sentono racconti che ribaltano la verità storica, del tipo: non c’è stato alcun assalto al Congresso il 6 gennaio 2021, era gente pacifica che voleva solo entrare a dare un’occhiata. E i morti? «Vittime collaterali».
Sulla metro M che mi riporta a Greenpoint spulcio la mappa elettorale interattiva pubblicata sul sito del comune. Impressiona: Manhattan, il Bronx e la parte di Brooklyn che s’affaccia sullo skyline sono colorati di blu in varie sfumature (il colore dei democratici), mentre il Queens, subito più a nord, va dal rosa acceso al rosso. È la stessa spaccatura che attraversa il paese, con il blu raggrumato lungo le sponde del Pacifico e del Nord Atlantico, il rosso che dilaga altrove. Servirebbe un impressionista o un macchiaiolo che dipinga un’immagine cromaticamente armonica. Per adesso non se ne vedono in America.
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