Stati Uniti al voto, diario elettorale da Brooklyn del 3 novembre

Perché le donne potrebbero far vincere una donna nella corsa tra Trump ed Harris
Distribuzione del materiale elettorale in Georgia - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Distribuzione del materiale elettorale in Georgia - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Quando sono passate da poco le 10 i più forti, come gli olimpionici medagliati, attraversano di gran carriera North Williamsburg e Greenpoint. Poco dopo arriva il primo folto gruppo di quelli, molto allenati, che pagherebbero chissà quanto per piazzarsi tra i primi cinquecento al traguardo di Central Park. All’angolo tra Huron Street e McGuinness Boulevard, dove ci sono due ali di plaudenti polacchi, la gente offre ai podisti banane, ciambelle, bicchierini di intrugli alcolici che non sono sicuro facciano benissimo.

Nella mattina fredda risuonano gli incitamenti per chiunque: la New York Marathon è una festa di popolo che dovrebbe confermare l’immagine ideale degli Stati Uniti come democrazia che dà a ciascuno l’opportunità, almeno una volta, di vincere la propria corsa. Peraltro, la contea di Brooklyn, dove siamo, è il crogiolo di nazionalità che ha più alimentato il mito dell’America ospitale e solidale.

Gli italiani sono la maggioranza nei quartieri di Bensonhurst, Bay Ridge e Dyker Heights, i russi e gli ucraini convivono a Brighton Beach detta «Little Odessa» e a Sheepsheads Bay, i polacchi s'erano installati in massa a Greenpoint «Little Poland», i portoricani e i domenicani a Bushwick, i messicani a Sunset Park, gli ebrei della Mitteleuropa a Borough Park, Williamsburg, Sea Gate e Crown Heights, i cinesi a Gravesend, Homecrest e Bensonhurst, dove con i vicini siciliani e i calabresi non è mai stata una luna di miele.

Seduti al ristorante Madre di Franklin Street a Greenpoint, Alberto Flores d’Arcais, per vent’anni corrispondente di Repubblica dall’America, mi dice però che «di tutti questi immigrati e figli di immigrati a Brooklyn, pochissimi si registrano e vanno poi ai seggi. Peraltro, Trump è di Manhattan e non è mai stato popolare da queste parti».

Brooklyn conta oltre due milioni di cittadini, più o meno quanti gli abitanti dello Iowa che, a quarantott’ore dalle elezioni, dall’ultimo sondaggio del Des Moines Register hanno appena scoperto di essere il primo stato, dato finora per sicuro trumpiano, pronto a diventare harrisiano. La candidata democratica risulta avanti di tre punti, 47 per cento contro 44. In settembre l’ex presidente repubblicano aveva un vantaggio di 4 punti su Harris, in giugno addirittura 18 su Joe Biden, all'epoca candidato democratico.

Commentando questi dati, la sondaggista del prestigioso quotidiano della capitale dell’Iowa azzarda: «Le donne - in particolare le più anziane o quelle politicamente indipendenti - stanno guidando il cambiamento che favorisce Kamala Harris. L'età e il sesso sono i fattori dinamici che spiegano questi numeri inattesi».

Se avesse ragione lei e se la tendenza emersa nello stato dei ponti di Madison County fosse confermata altrove martedì, a consegnare le chiavi della Casa Bianca a una donna sarebbero le donne. Lo farebbero perché preoccupate dall’attacco ai loro diritti portato pochi mesi fa dalla Corte Suprema infarcita di giudici trumpiani, perché disgustate dagli show di vecchio che ieri ha mimato un atto sessuale orale durante un comizio a Milwakee, perché meno inclini a mettere in moto un meccanismo forse devastante.

A invocare a gran voce la mobilitazione delle donne era stata, pochi giorni fa, l’ex first lady Michelle Obama in Michigan. L’aveva fatto chiamando in causa anche gli uomini: «Se non votate bene questa volta, vostra moglie, vostra figlia, vostra madre, tutte noi donne diventeremo danni collaterali della vostra rabbia». Si riferiva soprattutto ai diritti all’aborto e all’assistenza sanitaria, messi a rischio da una nuova presidenza Trump.

Il messaggio è arrivato chiaro e forte a due anziane fedeli di colore della Full Gospel Church of God che incontro in Aberdeen Street, nel quartiere a maggioranza afroamericana di Bushwick: «Sappiamo cosa fare tra due giorni». La giovanissima che passa lí davanti è ancora più netta: «Qui non voteremo mai per Trump». Un altro ventenne, anch’egli colore, è però meno convinto: «Non mi occupo di politica, ma la mia ragazza, che ne capisce, mi ha detto che lei è per Trump».

L’esito delle elezioni dipende anche dal volume di elettori che stanno votando in anticipo sia per posta, sia di persona nei seggi aperti da giorni. Quattro anni fa Joe Biden fu premiato dalla scelta di incoraggiare i propri sostenitori, soprattutto se anziani, a evitare le code del martedì. Stavolta Trump l’ha imitato, chiedendo ai repubblicani di non aspettare l’ultimo momento. Tuttavia, la sensazione è che, di nuovo, il record di 75 milioni di voti già espressi vada a vantaggio di Kamala.

A Brooklyn è una certezza corroborata dai tanti cittadini con la spilla «Early Voter» attaccata alle felpe e ai giubbotti. Ce l’ha anche Albert, suppergiú settant’anni, che ha fatto la spesa da Met Fresh a Bushwick: «Per chi ho votato? Guardami, dovresti capirlo da solo». Infatti, l’avevo capito.

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