Sarwar Ghulam, da vittima di bullismo a stella del baseball per ciechi

Quando il padre tornò in Pakistan dopo due anni da migrante all’estero, Sarwar Ghulam, oggi trentanovenne, non lo riconobbe e andò a nascondersi dietro le gambe del nonno. «Aveva rischiato la vita per tutti noi – ricorda – dopo aver lavorato in condizioni impossibili. Però ce l’aveva fatta e presto ci portò in Italia, dove avevo sempre desiderato vivere, affascinato dalla vostra storia».
L’arrivo in Italia e i problemi
Arrivato a Brescia nel 2001, il ragazzo si godette poco il nostro Paese, perché i suoi problemi di vista si facevano sempre più gravi. «Non volevo ammetterlo a me stesso, ma facevo fatica a leggere cosa ci fosse scritto sulla lavagna». Poi, un giorno, gli fu impossibile negare la realtà. «Frequentavo un istituto professionale, durante una lezione premetti il tasto sbagliato e feci saltare un impianto elettrico. Infuriato, l’insegnante mi gridò se fossi cieco. Io abbassai il capo e dissi di sì – racconta –. Fui portato dal preside, mi assicurò che per lui non cambiava nulla, sarei stato seguito come tutti gli altri studenti. Tornato in classe, fu subito sbeffeggiato dai compagni».
A quell’età, gli adolescenti sanno essere molto crudeli. «Ho resistito ai loro scherzi solo una settimana, poi mi sono ritirato». Anni difficili, alla ricerca di un lavoro e soprattutto di comprensione.
L’incontro con il baseball
«Andai in una vigna, invece di tagliare l’uva, tagliai i rami. Fui licenziato in tronco e rischiai anche di dover pagare i danni», ricorda. La svolta quando fu assunto come centralinista a Milano. «Un giorno fui condotto su un campo da baseball, ormai ero un ipovedente conclamato e mi proposero di giocare nella squadra dei ciechi. Mi bendarono gli occhi, mi dissero di provare a battere e così feci. Sentii gli altri gridare, pensavo di aver combinato un altro dei miei guai. Invece erano tutti stupiti, la pallina era andata così lontano che, al primo tentativo, ero stato capace di un fuoricampo».

Passione
Da allora in poi ne ha collezionati migliaia, è diventato il leader assoluto della squadra con la quale ha poi vinto sette scudetti e per otto anni di fila si è meritato il premio di «re dei fuoricampo». Sarwar si è così appassionato a questa disciplina da diventarne divulgatore e l’ha portata anche nella nostra città. «Ricordo data, mese, anno. Fu una giornata memorabile quella del 10 ottobre 2010». Prima pagina di una storia leggendaria, quella della Leonessa Brescia baseball non vedenti, oggi ai vertici di questo sport con una paradossale peculiarità: alza trofei eppure non ha un campo dove giocare e allenarsi.
Pioniere

Negli anni, con pazienza e passione, Sarwar ha compiuto un mezzo miracolo. Nel 2017 ha fondato la squadra di cui è presidente, ha convinto i più timidi a uscire di casa, affrontare il mondo e rimettendosi in discussione pur in posizione di disabilità. Ha cominciato con atleti pakistani come lui. Poi ha battuto l’ambiente della scuola, proprio dove era cominciato il suo calvario. E grazie a lui Brescia, oggi, ha guide giovanissime, ragazzi che, nei fine settimana, alle discoteche preferiscono le trasferte con la Leonessa. Nel 2020, in piena era Covid, è arrivato lo scudetto, dedicato alle vittime della pandemia e negli ultimi due anni altrettante Coppe Italia, pur dovendo giocare sempre in trasferta (le partite in casa a Bergamo). In tutti questi anni la squadra ha mancato i play off solo una volta.
In Nazionale
Ghulam è rapidamente diventato un punto di forza della nostra Nazionale anche se in occasione degli ultimi campionati del mondo svoltisi in Inghilterra ha dovuto voltarle le spalle. «Per questione di visti, il Pakistan non ha potuto mandare giocatori alla rassegna e così ha chiesto a me di formare una squadra composta da elementi che giocano in Europa», racconta. Il destino ha voluto che in semifinale abbia dovuto affrontare proprio la selezione tricolore. «I miei ex compagni di squadra – sorride – me ne hanno dette di tutti i colori, però poi alla fine la partita l’hanno vinta loro». Si è consolato col trofeo di miglior battitore del torneo assegnatogli all’unanimità. E così l’ex ragazzo bullizzato e deriso, oggi, è il numero uno al mondo.
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