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Sandro Musso, l’uomo che ha portato i big nel calcio dilettanti bresciano

Ciciretti e Baraye ultimi colpi a effetto del presidente onorario dell’Ospitaletto: «Gloria? No, io cerco sfide umane»
Sandro Musso con Emanuele Filippini - © www.giornaledibrescia.it
Sandro Musso con Emanuele Filippini - © www.giornaledibrescia.it
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Adesso sono Amato Ciciretti e Yves Baraye. Prima, non in ordine d’apparizione e a titolo esemplificativo, sono stati Sasà Bruno o Felipe Sodinha e, in origine, Francesco Ruopolo e Tano Caridi. Più, ciliegina sulla torta: Alberto Gilardino che ora allena in serie A e che i suoi primi passi dall’altra parte della barricata, una volta smessi i panni del calciatore, li ha mossi alla guida del Rezzato in serie D. Senza dimenticare Emanuele Filippini.

Paolo Musso con il bomber Ciciretti - © www.giornaledibrescia.it
Paolo Musso con il bomber Ciciretti - © www.giornaledibrescia.it

Indubbiamente Sandro Musso, ora presidente onorario dell’Ospitaletto, da sempre sa come stupire. E gli piace: «Ma non per fare lo sbruffone o dimostrare qualcosa sull’esterno. Io sono una persona alla quale non piace perdere tempo, in nessun settore della vita. Ogni giorno che passa è un giorno in meno e io a ogni giorno voglio dare un senso, voglio fare qualcosa che mi appaghi e mi diverta. Ho 60 anni, ma dentro sono un ragazzino con voglia di fare e guardare sempre avanti, al futuro».

Le piace stupire, ma al di là dei nomi che ha portato man mano nelle squadre di cui è stato patròn, la sensazione è quella che lei abbia sempre cercato di distinguersi anche per i trattamenti a cinque stelle per i suoi giocatori...

«I primi passi nel calcio li ho mossi nel 2009 da Rezzato, in Promozione. Tra le prime cose che feci una volta entrato sempre di più nella realtà, fu mettere insieme il progetto della club house. Un luogo ludico per i piccoli del settore giovanile, un posto di ritrovo per mangiare un piatto di pasta in compagnia per i ragazzi della prima squadra. Come dicevo, amo dare un senso alle cose e credo nella professionalità, anche tra i dilettanti. Occorre essere seri e contemporanei. Siamo poi in un mondo che offre tanto, per portare qualcuno ad appassionarsi di una realtà occorre provare sempre a offrire qualcosa di diverso, per generare interesse».

E da lì iniziò anche a collezionare nomi da aggiungere alla sue rose tra le esperienze successive di Palazzolo (domenica è in programma il derby), Castiglione, Cast e ora Ospitaletto...

«Il primo fu Ruopolo in Eccellenza, poi Caridi».

Ci sono i momi grossi, ma lei ha sempre investito molto anche sui big delle varie categorie...

«Infatti il primo fra tutti che cito è Mauro Moreschi: lui è stato essenziale per come mi ha accompagnato agli inizi nel percorso».

Torniamo alle star.

«Ecco, sbagliato. Nessuno nelle mie squadre può sentirsi una star. Prima di tutto c’è il gruppo e per me il concetto di squadra ha molto a che fare con quello di famiglia. I miei ragazzi si devono sentire sempre come a casa. Devono stare bene e al rapporto con loro tengo moltissimo. Però attenzione: tutto ciò che ricevono se lo devono meritare. E non è così scontato che tutti lo capiscano».

Gruppo...famiglia...Non c’è un po’ di retorica?

«Per me è così. Ricordo quando ingaggiammo Sodinha che era al Mestre. Nei primi mesi lo ospitai a casa mia e lì venne raggiunto anche da moglie e figlia. Per me queste sono soddisfazioni. Io amo le sfide, ma per me sono sempre prima di tutto sfide da un punto di vista umano».

Gilardino come si pose?

«Ragazzo di una umiltà straordinaria. Persino troppo umile: quasi imbarazzante. Ancora siamo in contatto».

A Rezzato Sandro Musso portò Alberto Gilardino - New Reporter © www.giornaledibrescia.it
A Rezzato Sandro Musso portò Alberto Gilardino - New Reporter © www.giornaledibrescia.it

E l’affaire Ciciretti come è nato?

«Intanto non pensiate che sia qui per chissà quanti soldi. Amato è qui per ricostruirsi a 360 gradi, in un momento un po’ particolare della sua vita. Ci hanno messo in contatto persone che abbiamo in comune (giro Napoli, col quale l’azienda di Musso collabora da qualche anno nei disegni delle collezioni delle divise, ndr) e a lui hanno parlato del clima delle mie squadre, dell’ambiente che avrebbe trovato. C’è stata apertura e ci siamo incontrati, abbiamo parlato molto. Ho visto che ha gli occhi vispi. Ha fama di essere testa calda, ma non lo è e sono sicuro che sia anche una questione di situazioni. Spero si trovi bene e faccia altrettanto e che possa regalarsi attraverso noi nuove possibilità di carriera ad alti livelli».

E Baraye?

«Voleva tornare in Italia, ma per una questione di status non poteva farlo tra i professionisti».

E se l’Ospitaletto andasse in C?

«Non credo perché ci sono squadre molto più attrezzate. Non succederà, ma se dovesse succedere sarebbe pronto perché ha un grande presidente (Taini, ndr) sotto tutti i punti di vista».

Non pensa mai di buttare troppi soldi?

«Quelli nel calcio non sono investimenti e infatti cerco di non soffermarmici troppo altrimenti mi scendono le gocce di sudore...Il calcio è solo una bella malattia che mi rende felice e rende felice anche la mia famiglia, soprattutto mio figlio Paolo (diesse dell’Ospitaletto, ndr) che sta crescendo molto».

E a chi dice che lei fa il fenomeno come risponde?

«Che io sono un medio man che ha fame di vita». 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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