RANCHO NOTORIOUS

Regia: Fritz Lang
Con: Marlene Dietrich, Arthur Kennedy, Mel Ferrer, Gloria Henry, William Frawley, Lisa Ferraday
Genere: western
Distribuzione: Sinister film
Un western, il terzo, ultimo e il più felice oltre che insolito nella carriera di Fritz Lang, il grande regista tedesco de “Il dottor Mabuse”, “I nibelunghi”, “Metropolis” che lasciò la Germania nazista per andare a lavorare negli Usa, dove realizzò altri suoi capolavori, tra cui appunto questo “Rancho Notorius” (1952), film ritenuto atipico nel filone dell’Ovest americano e che fu illuminato anche dalla presenza di una Marlene Dietrich non più giovane, ma sempre sensuale e fatale. Un western anomalo e stilizzato (brechtiano, qualcuno l’ha definito) in cui per altro Lang ebbe modo di inserire i suoi tipici temi dell’assassinio, del senso di colpa, della vendetta e dell’individuo che cambia la propria natura e tormentato dall’accorgersi di farlo. Da notare che in esso il regista fu il primo a inserire in un western un motivo musicale conduttore come parte integrante della storia: “The Legend of Chuck-A-Luck” (La leggenda del Mulino d'oro), idea che fu subito dopo fu ripresa con molto successo in “Mezzogiorno di fuoco”. Tale ballata, che parla di quella che in Italia è conosciuta come la Ruota della fortuna, fa da commento e soprattutto da perno alla vicenda e diventa simbolo non solo del gioco, ma anche del destino: il suo ruotare diventa il giro della vita e della colpa, dell’oggi io e domani tu, di situazioni diverse come violenza, ingiustizia e crudeltà in cui anche l’individuo ritenuto giusto può trovarsi travolto e non ci sono né colpevoli né innocenti. La storia è quella di Vern Haskell (Arthur Kennedy), un pacifico allevatore la cui vita è sconvolta dall’omicidio e dallo stupro di Beth, la fidanzata, ad opera di una banda di fuorilegge in fuga dopo una rapina fallita: avvelenato dall'odio, è preda dell’ossessione di vendicare il gravissimo torto subito e si fa pure lui bandito per scoprire il colpevole per poi ucciderlo. Non conosce né i nomi né i volti dei criminali e come unico indizio il nome di un luogo chiamato “Mulino d’oro” (nella versione italiana: “Chuk-A-Luck” in originale), incontra sul suo cammino di ricerca varie persone, i cui racconti forniscono la materia di flashback e alla fine arriva in una vallata chiusa dove sorge un ranch abitato esclusivamente da fuorilegge, che lo hanno arricchito con parte dei frutti delle loro rapine e la cui tenutaria è la sensuale Altar Keane (Marlene Ditrich), ex-famosa entraineuse ormai matura, ma ancor molto affascinante che è la donna del capobanda Frenchy Fairmont (Mel Ferrer).
Costui, che l’adora e che è noto come "La pistola più veloce del West" è un ex-soldato sudista che ha combattuto con il generale Lee e che a fine conflitto è stato privato a tradimento della sua fattoria e costretto alla clandestinità, un gentiluomo nell’aspetto, ma anche letale che il cui senso di colpa e desiderio di espiazione richiamano in parte il Doc Hollyday di ”Ombre rosse”. Queste le tre pedine del gioco della sorte che vede Vern diventare anche suo amico, ma sempre combattuto dentro dal fatto che possa essere Frenchy colui che gli ha ucciso la fidanzata, mentre Altar avverte l'ombra del tempo che passa e la nostalgia della giovinezza perduta innamorandosi del nuovo arrivato con l’illusione di vivere un'ultima storia d'amore… Abbastanza sorprendente il finale, non anticipabile, di un western, barocco e insieme stringato senza divi (a parte la Dietrich) o grandi interpreti del genere, ma i cui protagonisti rendono perfettamente le intenzioni di Lang, il quale oltretutto lo inserisce in ambientazioni stilizzate (palesemente fondali di cartapesta) e lo gira in un technicolor eccessivo – qualcuno l’ha definito “rozzo” -. Un film da conoscere anche perché, a parere di più di un critico, avrebbe ispirato un altro cult della frontiera: “Johnny Guitar” di Nicholas Ray. Buona l’edizione dvd, ma senza extra.
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