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La magnifica saga dei Passadori, «chirurghi» del pianoforte dal 1909

Barbara Fenotti
Nella loro bottega in Contrada Santa Chiara a Brescia restaurano e accordano, oltre a salire sui palchi dei teatri più prestigiosi. Da oltre un secolo sono profondi conoscitori degli Steinway. «Ogni strumento è una creatura viva»
  • Sul palco del Teatro Grande, la delicata operazione di accordo di uno Steinway
    Sul palco del Teatro Grande, la delicata operazione di accordo di uno Steinway - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
  • Sul palco del Teatro Grande, la delicata operazione di accordo di uno Steinway
    Sul palco del Teatro Grande, la delicata operazione di accordo di uno Steinway - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
  • Sul palco del Teatro Grande, la delicata operazione di accordo di uno Steinway
    Sul palco del Teatro Grande, la delicata operazione di accordo di uno Steinway - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
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    Sul palco del Teatro Grande, la delicata operazione di accordo di uno Steinway - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
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È facile pensare che un pianoforte sia un oggetto immobile, elegante, perfetto così com’è. Invece è un organismo vulnerabile, capriccioso, sensibile quasi come se fosse una creatura viva. E in una bottega di Contrada Santa Chiara, in città, da più di un secolo c’è chi se ne prende cura come si fa con una monoposto ai box della Formula 1.

È il mondo dei Passadori, dove restaurare equivale a operare come un chirurgo e accordare significa lavorare di caviglie – l’equivalente delle chiavette della chitarra – per trovare l’equilibrio migliore insieme al musicista che si esibirà in concerto.

  • Il laboratorio della famiglia Passadori in città
    Il laboratorio della famiglia Passadori in città - © www.giornaledibrescia.it
  • Il laboratorio della famiglia Passadori in città
    Il laboratorio della famiglia Passadori in città - © www.giornaledibrescia.it
  • Il laboratorio della famiglia Passadori in città
    Il laboratorio della famiglia Passadori in città - © www.giornaledibrescia.it
  • Il laboratorio della famiglia Passadori in città
    Il laboratorio della famiglia Passadori in città - © www.giornaledibrescia.it
  • Il laboratorio della famiglia Passadori in città
    Il laboratorio della famiglia Passadori in città - © www.giornaledibrescia.it
  • Il laboratorio della famiglia Passadori in città
    Il laboratorio della famiglia Passadori in città - © www.giornaledibrescia.it

La storia dei Passadori

La loro storia comincia nel 1909, quando il nonno Giuseppe apre la prima attività in Contrada delle Cossere. Poi il trasferimento davanti all’attuale Università Cattolica e infine, nel 1956, l’approdo definitivo in Contrada Santa Chiara, dove la famiglia ancora oggi vive e lavora. Giuseppe avvia al mestiere i tre figli, Piero, Enzo e Angelo e oggi la bottega è nelle mani di Giulio Passadori, 58 anni e 44 di esperienza, di suo cugino Beppe e di suo figlio Marco, giovane apprendista.

  • La famiglia Passadori di Brescia
    La famiglia Passadori di Brescia - © www.giornaledibrescia.it
  • La famiglia Passadori di Brescia
    La famiglia Passadori di Brescia - © www.giornaledibrescia.it
  • La famiglia Passadori di Brescia
    La famiglia Passadori di Brescia - © www.giornaledibrescia.it
  • La famiglia Passadori di Brescia
    La famiglia Passadori di Brescia - © www.giornaledibrescia.it

Insieme a loro c’è anche Luca Zanotti, tecnico accordatore Steinway figlio di Angela Passadori, sorella di Giulio che da un paio di anni si è ritirata dall’attività. Nel 2018 Passadori è diventata la prima Steinway Piano Gallery italiana ma da ben prima è stata scelta dalla casa madre della Steinway & Sons come rivenditore ufficiale di pianoforti per le provincie di Brescia, Cremona, Mantova, Verona, Trento e Bolzano.

Una bottega e galleria espositiva a conduzione familiare, insomma, «che non dimostra i suoi 116 anni» racconta Giulio scherzando. Da piccoli a lui e a suo cugino Beppe l’ingresso in laboratorio era proibito: ci finivano lo stesso, provocando disastri che il padre cercava di contenere relegandoli ai pianoforti destinati alla demolizione.

Forse è lì che è scattata l’impronta del mestiere, perché quando chiedevano a Giulio cosa volesse fare da grande lui rispondeva senza pensarci: «l’accordatore». E così è stato.

Cosa vol dire restaurare un pianoforte

Passadori con un attrezzo del mestiere - © www.giornaledibrescia.it
Passadori con un attrezzo del mestiere - © www.giornaledibrescia.it

«Restaurare un pianoforte – dice Giulio – è come operarlo». Si smonta tutto fino all’osso: legno, corde, martelletti, meccanica. La temperatura e l’umidità sono i veri anestesisti: il legno respira, si dilata, si restringe, cambia umore. Un tempo il 50% di umidità era normale, oggi le case iperisolate e sempre riscaldate possono scendere al 30% d’inverno, una condizione che «fa star male il pianoforte».

La tavola armonica soffre, la meccanica cambia risposta, l’accordatura non regge. Eppure quasi tutto è riparabile, perché un pianoforte non si butta quasi mai: si smonta, si ricicla, si separano ottone, acciaio, legno. Nulla finisce davvero.

Come funziona l’accordatura

L’accordatura, invece, è un laccio tirato prima della corsa. È adrenalina, ascolto, intuizione. È la sfida di capire cosa vuole un pianista prima ancora che lo dica, se lo dice. A volte il problema è la barriera linguistica – si passa infatti dal bresciano (quello di Giulio e Beppe) al russo parlato dal musicista fino all’italiano tecnico, che cambia lessico a ogni valle: «Quelli che a Brescia chiamiamo blocchetti a Bolzano diventano zocchetti – spiega Giulio –. Le astine, invece, diventano stiletti. Alla fine ci tocca parlare tedesco tra italiani per capirci».

Un altro possibile ostacolo nel mondo dell’accordatura è il silenzio, il non detto. Il pianista che, per timidezza, magari non osa chiedere, o che non sa come farlo, o che teme di disturbare. Giulio allora osserva i gesti, ascolta come il musicista tocca i tasti, sente la sfumatura di un’idea che ancora non forma parole. Poi la propone lui: «Non è che vorrebbe una voce più squillante nella mano destra?». Nel mestiere di un accordatore c’è anche questo: suggerire le domande. Capita poi che un pianista arrivi a teatro dall’aeroporto poco prima del concerto: deve provare, sperando che il pianoforte giunto sul palco si sia adattato alla temperatura. Lì si annidano le sfide più avvincenti, tra una prova e una accordatura per raggiungere il suono ottimale. Una buona parte la fa il pianoforte stesso.

Gli Steinway e la scommessa

Ogni piano Steinway nella galleria di Passadori ha un soprannome che racconta difetti, pregio, umore. Ci sono Theodore, Henry, Ferdyman, e persino uno chiamato il Tiranno.

Un pianista suona uno Steinway & sons - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
Un pianista suona uno Steinway & sons - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it

Ogni pianoforte è come un individuo con una voce che non assomiglia mai a quella del vicino. Quando un pianista arriva per scegliere lo strumento per un concerto spesso si siede e ascolta oltre a suonare. Gli strumenti Passadori vengono caricati, portati in teatro, lasciati stabilizzare, accordati, sistemati di nuovo, regolati ancora. Giulio dice che la regolazione della meccanica è la torta e l’accordatura la ciliegina. C’è un momento che gli piace più di tutti: quando il suono aggancia il pianista, quando quello che dice lo strumento è esattamente ciò che le sue mani vogliono sentire. «È come cucire un vestito addosso a qualcuno – racconta –. Il pianoforte deve sparire, diventare un’estensione del corpo».

Uno Steinway sul palco del Grande - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
Uno Steinway sul palco del Grande - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it

Nella bottega Passadori niente è mai uguale. Ogni mattina è un’incognita. Ogni strumento un carattere, ogni concerto una scommessa. Ma c’è una cosa che rimane identica dal 1909: quell’idea che un pianoforte sia un organismo vivo, che abbia un destino da proteggere, una voce da liberare, un equilibrio da mantenere. Ed è per questo che chi entra lì dentro anche solo per un accordo esce sempre con la sensazione di aver visto qualcosa di raro: un luogo dove l’artigianato non è nostalgia ma un modo di restituire al mondo il respiro delle cose fatte bene.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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