Gli occhiali impannati

Quando le difficoltà sono anche linguistiche
Occhiali appannati - © www.giornaledibrescia.it
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Porto gli occhiali da talmente tanto tempo che non ricordo nemmeno da quando. Praticamente da sempre. Sono ormai parte integrante del mio viso. Spesso vado a letto senza toglierli. E a volte li tengo anche in doccia. L’emergenza Coronavirus sta però mettendo a dura prova la nostra convivenza. Stavo beatamente chiacchierando del più e del meno con una conoscente tra le corsie del supermercato, quando, a causa ovviamente della mascherina, la nebbia prende corpo davanti ai miei occhi, e lei, ridacchiando: anche a me si impannano quando parlo.

Dal reparto ammorbidenti sono così finito in un’altra dimensione, quella dove un fenomeno fisico trova la sua definizione dalla crasi (vabbé, dall’unione) tra le fettine di vitello panate e le lenti che invece si appannano, e per magia sono brescianamente un tutt’uno. Sono salito in auto ancora frastornato, per un attimo ho rischiato di non fermarmi al semafero rosso e di essere travolto da un camius.

Arrivato finalmente a casa ho pensato bene di salire in terrazza a prendere un po’ di sole, ma pultroppo non ho trovato in cantina l’asdraio. Ho ripiegato allora su una rigenerante marenda, ho preso il cortello, pardon la cortella e ho tagliato qualche fetta di gustoso salame nostrano. Mi sono seduto in poltrona per guardare la tv, ma mi sono reso conto che l’antenna ha dei problemi: dovrò chiamare il tennico nei prossimi giorni. Mi sono comunque rasserenato, sono in fondo un giovane tardo quarantenne che sorride alla vita. Se in futuro avrò problemi andrò da uno pisicologo.

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