Storie

L'Eldorado

Ingannare l’attesa dell’emergenza con dei racconti... uno al giorno come nel Decameron. Oggi si legge quello di Alessia Tagliabue
Gelati - Foto © www.giornaledibrescia.it
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Ingannare l’attesa dell’emergenza con dei racconti... uno al giorno come nel Decameron. Sollecitati da una proposta dello scrittore bresciano Nicola Fiorin, abbiamo lanciato ai lettori bresciani l’idea di inviarci dei racconti per l’eventuale pubblicazione sul giornale o sul nostro sito. Alcuni sono già arrivati. Chi volesse proporne uno, dovrà attenersi nel limite delle 3.500 battute, ed inviarlo a lettere@giornaledibrescia.it.

 

La strada faceva una curva a gomito sopra il tornante della chiesa, per poi stringersi e finire nel cortile della casa della Maria Sorga, che aveva il muso lungo e starnutiva sempre. Prima dell'aia della Maria, dietro la curva a gomito, la strada passava rasente un muracciolo, ed era da lì che il Cinc osservava il piazzale del sagrato, con gli occhi socchiusi e la lingua stretta tra i denti.

Il furgoncino dell'Eldorado svoltò rumoroso, suonando il clacson per avvertire il sagrestano. Si fermò in salita, aggrappato in bilico ai sanpietrini del sagrato come un grosso insetto. Il camionista scese con una sigaretta che pendeva moscia al lato destro della bocca. Il Cinc fece un gesto secco con il mento. Dal muretto davanti alla chiesa fece capolino la testa arruffata del Beppe, tutta bionda sotto il sole delle due. «Che, cerca il sagrestano?». Il camionista sputò per terra e fece sì con la testa. «Sì, eh. Non c'è oggi?». «Sarà in oratorio, vieni». Il camionista aprì il portellone del camion. Il Beppe, con un sorriso che andava da un orecchio all'altro, lo chiamò dalla sua parte. «Oh, che devi consegnare?». Il camionista lo afferrò per la collottola. «Portami dal sagrestano, va, che ti conosco a te».
Il Beppe fece tanto d'occhi ridendo, mentre camminava piano, ciarlando come sapeva fare solo lui mentre guidava il camionista dalla parte opposta di quella dell'oratorio. Il Cinc li guardò scomparire dietro la chiesa e fece un gesto con la mano al Giglio, acquattato dietro di lui, che iniziò a correre a rotta di collo fino al camion. Non si vedeva un'anima, erano le due e c'era un caldo soffocante. Il Cinc si asciugò il sudore dalla fronte, mentre il Giglio socchiudeva il portellone lasciato aperto dal camionista e si arrampicava come un gatto nel cassone. La porta della chiesa si aprì. Il Cinc sgranò gli occhi e fece un unico fischio potente. Nel cassone il Giglio si fermò immobile, in punta di piedi tra le cassette bianche. Il frate fece capolino dalla porta, non fece caso al camion e iniziò a scendere lungo la strada. Un altro fischio e appena il saio scomparve dietro la curva il Giglio scese dal cassone con un salto, la scatola bianca dei gelati sotto il braccio. Allungò un pollice alzato verso il Cinc e corse nella chiesa a rotta di collo.
La voce del Beppe risuonò di nuovo nel caldo del sagrato. «Che è colpa mia se non c'era?». «Ci sarà almeno il don, no, in questo paese?». Il Beppe prese la palla al balzo. Fece spallucce con un sorriso ampio. «Te lo vado a cercare, bastava che me lo dicevi scusa». Se la cavò di nuovo per un pelo. Mentre correva con i capelli biondi sotto il sole verso il Cinc, dall'oratorio uscì Don Baronio, arcigno sotto il sole, con la tunica nera che toccava per terra e un fazzolettino con il quale si tamponava il sudore sul collo taurino. «Cosa strilla?». 
Il Cinc e il Beppe aspettarono il Giglio per un'ora, sdraiati a pancia in su nel fieno della stalla del Giglio, con gli occhi chiusi e un filo di paglia tra i denti. Il Giglio arrivò tutto sudato, il petto che saliva e scendeva, la scatola bianca sotto il braccio. «Oh, ce l'hai fatta?». «Dove li avevi messi?». Il Giglio lasciò cadere i gelati nel fieno, avvolti nella carta bianca. Al Beppe si illuminarono gli occhi e il Cinc sorrise per la prima volta da ore. «Nel tabernacolo». I ragazzini presero a ridere come pazzi, affondando nel fieno. «Come nel tabernacolo?». «Eh, c'è fresco lì. Pensate che il Don Baronio vada a controllare nel tabernacolo?». «Era arrabbiato?». Il Cinc allungò la mano verso il primo gelato, lo scartò con una lentezza esasperante e poi ci affondò i denti con gli occhi chiusi. «Ha urlato come un pazzo. Sembrava fosse arrivato il giudizio universale. Il camionista se la rideva di brutto invece». Aprirono gli altri gelati, mangiando con gli occhi chiusi nel fieno. «E perché ci hai messo tanto, scusa?». Il Cinc aprì un occhio. «Don Baronio ha detto che chiunque era stato sarebbe finito all'inferno se non si confessava, no? E quindi avrebbe aspettato la confessione». "Ma non c'è il segreto confessionale?».
Il Beppe aveva la bocca aperta. «Ma che gliene frega al Don Baronio del segreto confessionale». Ribatté il Cinc ciucciando il bastoncino di legno. «Non ti sarai mica confessato?». «Certo, mica voglio finire all'inferno, io». I ragazzini scattarono come molle, le braccia aperte. «Ma come…». «Mi sono confessato dal frate». Il Cinc e il Beppe esplosero in un riso liberatorio, le mani davanti alla bocca, gli occhi chiusi. Il Giglio sorrise. «Io l'inferno non lo voglio nella prossima vita, ma manco in questa, non credete?».

Note biografiche.

Alessia Tagliabue è nata nel 2001 a Gardone Val Trompia, dove frequenta l'ultimo anno di liceo scientifico tradizionale. Ha all'attivo la pubblicazione di tre romanzi e vari racconti, con i quali ha ottenuto risultati a numerosi concorsi internazionali. Sogna un futuro nel mondo della scrittura e del giornalismo.

 

 

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