La storia di Bedulli, che vestì i piedi di dive e principesse per poi inventare le suole dei ciclisti

Dalle scarpe realizzate per le dive del cinema, dello spettacolo, le ballerine della Scala e principesse prese lo spunto per realizzare la forma delle scarpe destinate ai campioni di ciclismo.
È l’incredibile storia professionale di Franco Bedulli, calzolaio d’origine mantovana, ma bresciano d’adozione, che negli anni ’60 e ’70 divenne il principale calzolaio artigiano dei campioni del pedale. Ma se in molti storici appassionati di ciclismo ricordano le scarpe artigianali fabbricate a Brescia da Bedulli, quasi nessuno conosce il suo passato professionale.
Le origini
Siamo andati a trovarlo al Villaggio Sereno, quartiere bresciano nel quale risiede da diversi decenni, per farci raccontare la sua storia. «Mio padre faceva il calzolaio a Sarginesco, frazione del comune di Castellucchio in provincia di Mantova e la passione per le calzature mi contagiò fin da bambino. Imparai i rudimenti del mestiere presso il maestro Simonazzi di Mantova che vide quanto ero bravo e mi suggerì di andare a Milano a proporre le mie scarpe. Lì, mi disse, te le pagheranno quattro volte quello che potresti chiedere qui. Così un giorno, all’inizio degli anni Cinquanta, mi feci coraggio, presi un paio di scarpe da donna che avevo realizzato e andai in treno a Milano».

«Bussai alla porta del laboratorio Quintè, famoso atelier della calzatura meneghino che si trovava nella Galleria del Corso 2, a due passi da piazza Duomo e dal Teatro alla Scala. Fui ricevuto dal commendator Adolfo Quintè al quale mostrai le mie scarpe da donna – ricorda ancora Bedulli -. Lui le squadrò a fondo, osservò con attenzione i particolari della lavorazione, le misurò, poi mi lanciò un’occhiata perplessa: ragazzo, le hai fatte veramente tu queste scarpe? Certo risposi io mentre grondavo di sudore dall’emozione. Fece una lunga pausa poi mi disse: vienila prossima settimana con i tuoi arnesi e le tue colle, farai nel nostro laboratorio alcune scarpe, ti insegneremo un mestiere. Il prezzo per il tuo lavoro non sarà un problema. Anziché insegnarmi un mestiere però mi diedero subito da fare un paio di scarpe con precise misure per partecipare ad un concorso mondiale a Montecarlo. La scarpa che realizzai vinse il primo premio e Quinté la regalò alla principessa Grace di Monaco perché era stata realizzata con le sue misure. In seguito ne feci una speciale con diamanti incastonati. Proseguii ancora l’attività per Quinté realizzando modelli esclusivi per Abbe Lane, Maria Callas e tante altre. Quinté non mi diceva mai a chi erano destinate quelle scarpe su misura, lo scoprii da solo».
A Brescia
Bedulli dopo un po’ decide di trasferirsi a Brescia per essere più comodo nelle trasferte verso Milano. Con i primi guadagni apre una piccola bottega in via Cremona, coincidenza vuole di fronte all’officina meccanica di Pietro Serena, famoso telaista di bici. La bottega negli anni Sessanta è chiamata «il Club dei poveri» per distinguerla dall’officina di Meschini ritrovo degli atleti del Pedale Bresciano ricchi di titoli (Bongioni e Vianelli). Il Club di via Cremona è frequentato fra gli altri da Dancelli, Boifava e Kazianka. Quest’ultimo entra in confidenza con Bedulli e un giorno gli propone di fabbricare scarpe da ciclista.

«Presi ispirazione dalla forma delle scarpe da donna che sapevo fare per creare le scarpe dei corridori. Allora si pedalava di punta e le scarpe dovevamo mantenere quella inclinazione. Fino a quel momento le scarpe da ciclista erano piatte e morbide. Io gli diedi la forma inclinata inserendo nella tomaia un’anima d’acciaio. I primi clienti furono i ciclisti bresciani, poi lo divennero tutti i grandi dell’epoca, Gimondi, Motta, e Anquetil. Tutti tranne Merckx perché le scarpe preferì farsele costruire da un suo amico in Belgio. In quegli anni fioccano ordini da tutto il mondo, prof e amatori volevano le mie scarpe».
Senza brevetto

Bedulli è troppo umile e modesto per marchiare quel prodotto artigianale con il suo nome, l’unico vezzo che si concede è la linguetta sotto le stringhe che presenta una B rovesciata, simbolo di Bedulli che pare un cuore. Il calzolaio bresciano d’adozione è però poco scaltro e soprattutto non abbastanza ricco per brevettare quel modello che nel giro di qualche anno i grandi marchi gli copiano, utilizzando però materiali diversi e più tecnologici e commercializzano ad un prezzo con il quale Bedulli non riesce a competere. Abbandona progressivamente la produzione di scarpe per i grandi campioni, si ritira fino alla pensione nella bottega da calzolaio al Villaggio Sereno. Gli rimane la soddisfazione di aver vestito i piedi delle grandi dive dello spettacolo e dei campioni del pedale.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato
