La corsa di Maya per scappare dalle botte fino al traguardo della libertà

Vincenzo Cito
L’orrore della podista vissuto in Moldavia, la rinascita nel nostro Paese. Con l’Unicef la sua vicenda oggi è esempio e simbolo
Maya Stratulea: la sua storia è divenuta simbolo di rinascita
Maya Stratulea: la sua storia è divenuta simbolo di rinascita
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Un giorno Maya Stratulea pensò davvero di farla finita. Fu quando vide la mamma - confusa dai fumi dell’alcool - afferrare per l’ennesima volta un bastone per picchiarla. «La implorai di usarne uno più grosso - ricorda oggi -, perché volevo morire. Vivevo da schiava in casa mia, costretta a lavorare tutto il giorno nelle campagne della Moldavia. I mie genitori mi impedivano di andare a scuola, giunsero perfino a bruciarmi i libri». Cominciò così, a soli 9 anni, la sua vita da randagia, per allontanarsi dall’orrore.

«Stavo lontana anche giorni senza che nessuno mi cercasse - racconta -. Allora trovai conforto nella natura, imparai a cavarmela da sola».

Correre diventò una necessità per sfuggire alle violenze di casa e poi si trasformò nell’occasione di cambiare la sua esistenza. «L’Unicef, un giorno, organizzò una manifestazione podistica per i bambini. In palio c’era un gelato, non ne avevo mai assaggiato uno. Corsi a piedi nudi, non volevo rovinare le scarpe rosse che mi erano state regalate per l’occasione. Il ricordo di quella vittoria si mischia ancora oggi al sapore di quel cono: la prima vera dolcezza assaporata nella mia infanzia».

Da quel giorno per Maya cominciò un’altra storia. Lo strazio dell’infanzia negata divenne di dominio pubblico e appena diventata maggiorenne riuscì a riparare in Italia, dove oggi ha formato una famiglia, proprio nella nostra provincia. E ha cominciato a farsi chiamare Maya. Lei, in realtà, si chiama Galina.

«Come prima occupazione trovai un posto da barista in un albergo romagnolo frequentato sempre dagli stessi turisti. Allora mi fu chiesto di prendere il nome della cameriera che c’era prima, per non confondere i clienti più affezionati». La circostanza le strappa ancora oggi un sorriso. «Pur di cambiare vita, che problema c’era a cambiare nome? Fui presa in simpatia, a ogni parola di italiano che imparavo gli ospiti mi regalavano un euro. E alla fine le mance superarono lo stipendio».

Oggi Galina, a 37 anni, è una donna che si è lasciata definitivamente alle spalle il passato e ha fatto della propria storia un simbolo di rinascita. Ha corso le più importanti maratone, è diventata testimonial di Unicef Italia in quanto la sua vicenda è l’emblema di ciò che questa organizzazione fa ogni giorno per milioni di bambini.

E domenica 21 aprile riproporrà a Brescia «la corsa di Maya» su due percorsi di 6 e 13 chilometri, accessibili a tutti, al Parco delle Cave, con partenza dal campo Gabric. Lo scopo è di raccogliere fondi perché a tutti sia garantito il diritto all’acqua.

«Nel mondo occidentale non abbiamo di questi problemi - spiega -. Altrove la situazione è ben diversa. Un bambino della zona del Corno d’Africa si sveglia la mattina e deve correre quasi 30 chilometri per cercare di dissetarsi, e quando ha trovata l’acqua molto spesso è infetta e lo espone al rischio di contrarre il colera, il tifo, l’epatite A o la diarrea acuta, che da sola uccide ogni giorno 700 bambini sotto i 5 anni».

Testimone

Alla corsa di Maya avverrà un ideale gemellaggio, perché vi parteciperà anche Giancarlo Magli, 55 anni, il noto specialista delle lunghe distanze, che si batte da anni per la difesa dell’ambiente. Dal 15 aprile in poi correrà sette maratone in sette giorni - nella zona attorno a Campo Marte - per sensibilizzare l’opinione pubblica sul grave problema della plastica che sta rovinando il pianeta.

«Se non si interviene adesso - afferma -, dopo sarà troppo tardi». L’ultima fatica si concluderà domenica 21, proprio sul tracciato della corsa di Maya. «L’idea di legare il tema della difesa dell’ambiente a quello della salvaguardia dell’acqua mi è piaciuta subito - spiega Magli -. E per me è un onore dare il mio piccolo contributo a una straordinaria donna come Maya. Ha subito ogni tipo di ingiustizia ed è stata capace di trasformare quel dolore in un’occasione di riscatto». Per anni e anni la piccola Galina si è sentita invisibile. Anzi: sparire era la sua arma di difesa. Oggi la sua voce si sente forte e chiara nel mondo con un messaggio inequivocabile.

«Il senso morale di una società - ripete spesso - si misura su ciò che fa per i suoi bambini».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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