WhatsApp, istruzioni per l'uso

Dire che i social sono diventati invasivi equivale a scoprire l’acqua calda: tra le altre cose, sembra perduta l'usanza della parola
Una delle classiche immagini usate nelle chat di WhatsApp
Una delle classiche immagini usate nelle chat di WhatsApp
AA

Dire che i social sono diventati invasivi equivale a scoprire l’acqua calda. Il fatto è talmente ovvio da rievocare la banalità contenuta nella canzone dedicata al signore de La Palice da alcuni soldati dopo la sua morte: «Un quarto d’ora prima di morire, era ancora vivo».

Sono molti quelli che navigando in internet hanno diminuito il divario creatosi fra nativi e primitivi digitali, imparando a utilizzare lo smartphone e sottoponendosi a metamorfosi incredibili per adattarsi alla nuova visione tecnologica. Purtroppo sembra andata perduta l’usanza della parola. Le relazioni si mantengono vive quasi esclusivamente attraverso messaggi, affidando a emoticon (faccine) l’espressione del proprio stato d’animo, creandone alcune con caratteristiche personali da aggiungere al posto dei saluti. Inseriti nei gruppi di WhatsApp, i cosiddetti «diversamente giovani» sottovalutano che per essere connessi bisogna aderire a un disturbo costante, per alcuni insopportabile.

Comunicando in questo modo si impara un nuovo tipo di linguaggio gruppale che coinvolge amici, colleghi o genitori, fra i quali si creano legami e schieramenti, scambi di opinioni che spesso originano tremende ostilità. Ogni giorno scorrono davanti agli occhi locandine, fiori e «buongiornissimi» che rivelano il bisogno umano della vicinanza, seppure questa nuova socialità eluda a volte le regole elementari del bon ton. Immagini di tazzine da caffè inviate in orari antelucani da persone insonni si alternano a lune condivise nel cuore della notte. Fra auguri e condoglianze, complimenti dispensati a macchia di leopardo, si evidenziano dinamiche e fazioni che farebbero impallidire Guelfi e Ghibellini.

I social sono strumenti di distrazione di massa che abbattono i gradi di separazione fra le persone, creando rare conoscenze che profumano di vita vera. Essi ci illudono di essere vicini ma l’assenza del calore di mani che si sfiorano e del suono di voci sussurrate all’orecchio rendono lontanissimi. La solitudine alligna dentro le persone, nelle case, nei luoghi di lavoro, falsamente consolata da interessi rivolti verso qualcosa di inconsistente. Tuttavia si può essere soli anche restando scollegati dai social, come mostra il video realizzato per Moby da Steve Cutts, dove la massa umana distratta dalla visione di immagini virtuali cade nel baratro della civiltà. Mi ha fatto riflettere un ristoratore toscano al quale ho chiesto di usare la wifi. «Spegni il telefono» mi ha risposto. Mai la password di un ristorante mi è parsa più appropriata!

 

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia