Non è mio marito, è il mio compagno

«Il suo bambino è proprio bellissimo, nei tratti ricorda molto suo marito»… Mariana mi sorride e risponde in perfetto italiano: «Non è mio marito, è il mio compagno». Di origine rumena ha circa 35 anni, una laurea in economia e lavora come barista. Il suo garbo ne accentua la bellezza, data da una carnagione olivastra, i capelli neri e gli occhi verde bosco. Curiosa, quanto indiscreta, le chiedo: «Perché non siete sposati?».
Lei si morde ripetutamente le labbra e risponde: «Un tempo lui voleva, adesso non ne parla più». La mia età ed esperienza mi portano a pensare che da quando i cordoni delle convenzioni sociali si sono allentati, il tradizionale fidanzamento approda sempre meno al matrimonio, ormai surrogato dalla convivenza, diventata una «prova generale» alla quale è possibile sottrarsi con facilità e danni economici abbastanza contenuti.
Tuttavia penso che la forbice valoriale che separa le ultime generazioni mi include nella classifica di chi «lentamente muore perché non rischia la certezza per l’incertezza» di Martha Medeiros. È in atto un radicale cambiamento sociale che coinvolge anche gli uomini, ai quali viene chiesto aiuto e collaborazione. Ma la vera rivoluzione appartiene alle donne che hanno conquistato attraverso la cultura il diritto di trasformare in realtà le loro aspettative di vita. Le nostre figlie, a ragione, non vogliono rinunciare «ad inseguire un sogno», quindi «capovolgono il tavolo» per rendersi economicamente indipendenti e contribuire in maniera tangibile ai bisogni familiari. Noi madri e nonne facciamo fatica a comprendere che oggi i voti nuziali coincidono solo marginalmente al nostro modo tradizionale di pensare e agire.
La libertà di vivere senza un vincolo viene talvolta confusa con il disimpegno, pertanto, anche se la mia convinzione può essere considerata démodé, mi permetto di suggerire alle giovani donne di crescere i loro bambini in ambienti amorevoli che prevedano anche la solidità che l’antico «contratto» coniugale dovrebbe garantire.
Il vero modo contemporaneo di essere «alternativi» è quello di scegliersi per amore, nella formula civile o religiosa, vivendo felici all’interno di una responsabilità necessaria e condivisa. L’impegno nei confronti della famiglia rappresenta la totalità dei doveri genitoriali uniti a un diritto imprescindibile d’amore.
Ogni figlio oltre al nome, il mantenimento, la protezione e il diritto allo studio, si aspetta un esempio costante e positivo che lo diriga verso un futuro di certezze nelle quali potersi rispecchiare.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato