Betta e le altre: orgoglio e solitudine

Betta ha 91 anni che porta addosso senza troppi rimpianti. Ancora si profuma con acqua di zagara, mette al collo un vecchio filo di perle di Maiorca ma non sopporta di aver dovuto sostituire le gonne e i suoi golfini con delle tute felpate. Le piace essere in ordine e andare dal parrucchiere. Quando riceve dei complimenti risponde che «da giovani bisogna curarsi per piacere e da vecchi bisogna farlo per non dispiacere».
Il tempo le ha raggrinzito la pelle ma non ha stazzonato il suo spirito indipendente. È solo diventata più piccola; l’estate scorsa mentre riprendeva l’orlo dei sui pantaloni si stupiva di doverli accorciare ad ogni cambio di stagione. Adesso che i suoi movimenti sono più lenti tende a ricordare con nostalgia quando si affrettava per dare una mano ai suoi figli. Le succede invece di dimenticare la pentola sul gas, l’acqua nel bidet che scorre per ore e scorda pure di chiudere la porta. A volte trascura l’ora di mangiare o di prendere le pillole, ma non c’è verso di convincerla a farsi aiutare.
È inutile insistere, non accetta che un’estranea si occupi di lei, sebbene ne avrebbe bisogno per lavarsi o allacciare i bottoni. Solo l’idea di una badante in casa imbrunisce il suo umore per tutta la giornata. Ha imparato a badare a se stessa quando è rimasta vedova; arrangiarsi è un verbo che si coniuga bene al suo femminile e ha fatto scaturire in lei una forte autonomia. La storia di Betta è sovrapponibile a tante altre quando la decadenza dei genitori coincide con quella dei figli sempre più anziani i quali, soprattutto mentalmente, faticano ad accudirli e demandano ad altri il loro compito in attesa che si liberi il posto in una casa di riposo.
Le badanti spesso sono lasciate sole, gravate della cura e dell’assistenza quasi fossero dei parenti-sostituti nel riferimento quotidiano. Il bisogno reciproco mescola il cibo con le abitudini. Bisogna osservare la tavola quando viene preparata in modo spartano, potrebbe essere l’immagine di attenzioni limitate all’essenziale.
Le medicine non curano la solitudine affettiva, residuo amaro della moderna vecchiaia trascorsa nella propria casa o in residenze più o meno lussuose. La ruota gira per tutti. Non sarà piacevole scoprire che «dentro ogni anziano c’è sempre un giovane che si chiede cosa diavolo sia successo».
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