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Il clarinettista bresciano in fuga dall’Italia: «In ogni gesto l’ordine dell’universo: l’ho appreso in Giappone»

Enrico Raggi
Fulvio Capra, 32 anni originario di Gussago, è fondatore e direttore di una orchestra a Kobe
Fulvio Capra vive in Giappone da un lustro - © www.giornaledibrescia.it
Fulvio Capra vive in Giappone da un lustro - © www.giornaledibrescia.it
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La vita di Fulvio Capra arde di gioie e progetti, musica e incontri, sole e vento del mondo. A 32 anni, è uno dei giovani in fuga dall’Italia, a inseguire speranze, traguardi, chimere. Originario di Gussago, dopo il diploma in clarinetto al Conservatorio «Marenzio» di Brescia e studi di perfezionamento in vari paesi d’Europa, ha suonato stabilmente fino al 2019 in tre diverse orchestre del Regno Unito. Da un lustro vive in Giappone, per quattro anni è stato Primo Clarinetto della Hyogo PAC Orchestra, suona come solista con la Osaka Philarmonic e la Pacific Philarmonic di Tokyo, presenzia spesso all’Affinis Music Festival (tra i maggiori appuntamenti cameristici del Sol Levante).

Lo scorso anno ha fondato l’orchestra da camera L’Incanto con cui ha debuttato sul podio a fine novembre alla Uhara Hall di Kobe. Da poco insegna alla Kurashiki Sakuyo University of Music di Okayama, dove ha «studenti pronti, pazienti e sensibili - racconta -. In classe sono meticoloso e rigoroso. Non passo una giornata senza studiare».

Come si trova nel suo nuovo ruolo di direttore?

Mi sono tornate utili le lezioni di composizione ricevute molti anni fa da Giancarlo Facchinetti e, più recentemente, da Andrea Vezzoli. L’orchestra che ho creato è formata da eccellenti professionisti incontrati durante la mia recente carriera. Siamo sostenuti economicamente dalla regione del Kansai e dalla prefettura di Hyogo.

Che musica fate?

Voglio promuovere la musica italiana in terra nipponica perché qui è amatissima: Rossini, Verdi, Respighi, ovviamente, ma pure autori contemporanei. In novembre ho presentato un brano inedito di Paolo Ugoletti e in settembre, a Kobe, è il turno di altri miei concittadini bresciani, Massimo Priori, Marco Nodari. Desidero costruire relazioni umane e artistiche, quindi mi trovo molto a mio agio nel ruolo di direttore, perché credo sia un modo davvero stimolante di approfondire il mio rapporto con l’interpretazione musicale e con i musicisti con cui collaboro.

Cosa le piace di più del Giappone?

Di questo popolo ammiro soprattutto l’educazione e il rispetto che si manifestano in ogni ambito del contesto sociale. In particolare, dei musicisti giapponesi apprezzo la precisione, lo slancio, la disponibilità a intraprendere nuovi progetti; si mostrano sempre attenti alle sfumature e capaci di adattamento; studiano la musica con passione, con una profonda ammirazione per la nostra cultura.

C’è dialogo?

La sinergia tra la naturale espressività di un artista italiano e l’introspezione e meticolosità dei giapponesi porta a risultati artistici di enorme valore. La loro attenzione per le piccole cose ci suggerisce una profonda legge morale che ogni gesto porta con sé, anche il più ordinario: c’è un nesso tra la banalità dell’istante e l’ordine dell’universo, ogni rapporto contiene sacrificio e pienezza. Una verità che trovo preziosa e insostituibile e anche nel campo artistico. 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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