Un piccolo dizionario dal grande profumo

Dalla A amara di àgher (aspro, ma anche pigro o difficile) alla dolce Z di zöbia (giuggiola) c’è un universo
La zöbia, ovvero la giuggiola
La zöbia, ovvero la giuggiola
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Il dialetto regala spesso profumi nascosti e meravigliosi, echi olfattivi di tempi antichi e di terre lontane. Sono i profumi che si percepiscono sfogliando le pagine del «Piccolo dizionario del dialetto bresciano» dato alle stampe nel 1851 dal maestro Stefano Pinelli, nato in città nel 1825. Un volumetto agile e prezioso nel quale l’autore - per aiutare i suoi alunni ad apprendere il toscano - prende in considerazione solo le «voci bresciane che materialmente si allontanano dalle equivalenti italiane».

Dalla A amara di àgher (aspro, ma anche pigro o difficile) alla dolce Z di zöbia (giuggiola) c’è un universo. C’è il sapore dell’aliàna, l’uva lugliatica che secondo alcuni starebbe anche all’origine del vino Aleatico. C’è l’uso delle arèle, il graticcio. Il termine bresciano nasce dal diminutivo del latino hara, che è il recinto di canne costruito per le oche. O per il maiale, tanto che ad esempio in Valcamonica lo spazio del suino è «el rél del rói».

Non solo radici latine, però. Spigolando si trova ad esempio il baghèt, la cornamusa, termine imparentato con bàga (la pancia, il ventre delle pecore con cui la cornamusa è realizzata). Qui l’etimo porta al tedesco Bauch (pancia) e all’inglese bag (borsa, sacca).

Ad un altro orizzonte linguistico si affaccia invece il verbo ösmà che significa annusare. In italiano ad esempio lo si ritrova nell’aggettivo macrosmatico con cui si indica la raffinata capacità olfattiva dei cani. L’origine invece ci porta indietro di oltre duemila anni, al greco antico osmé che significa proprio odore, profumo.
Il dialetto regala spesso profumi nascosti e meravigliosi, echi olfattivi di tempi antichi e di terre lontane.

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