Tra dutùr e dulùr, dove osano i tafani

L’anatomia vernacolare nel libro di Mino Facchetti, presentato a Chiari
Il tafano in inglese è detto horsefly, perché pasteggia volentieri sul sedere dei cavalli
Il tafano in inglese è detto horsefly, perché pasteggia volentieri sul sedere dei cavalli
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Un mix ineguagliabile di schiettezza contadina e di trasversalità linguistica. È la sensazione che ti lascia un viaggio attraverso l’anatomia umana raccontata dal dialetto bresciano. L’occasione è offerta dal gradevolissimo «Dulùr e dutùr» del clarense Mino Facchetti, attento esploratore di cose nostrane.

Accanto ad un lungo elenco di definizioni vernacolari di malattie, ad una raccolta di proverbi e alla indicazione dei santi cui votarsi per guarire, il volumetto offre un succoso vocabolarietto. Molte le espressioni di precisione e concretezza popolare. E così, ad esempio, la pànsa quando è tonda diventa una bàga o una bògia (parola che a me ricorda l’italiano boccia) e quando addirittura eccessiva è una trìpa. Il basso ventre, però, è detto anche ghéda. Termine forse legato allo spagnolo ijada (fianco), a sua volta figlio del latino volgare iliata (il neutro ile è il basso ventre dei romani).

Oltre i confini nazionali ci porta poi uno dei mille termini - schietti e sorridenti - cui il dialetto ricorre per indicare il sedere: in particolare, un lato B voluminoso è detto anche tafanàre, cioè luogo amato dai tafani. E non è un caso. Scopriamo infatti che il tafano in inglese è detto proprio o horsefly, cioè mosca dei cavalli, perché pasteggia volentieri sul sedere di quel quadrupede.

Ma non finisce qui: dall’Inghilterra il richiamo agli ippici quarti posteriori ci porta fino in Francia. Dove con ésprit de finesse per un particolare profilo di sedere hanno inventato l’espressione culotte de cheval. Insomma: un tafanàre. Schiettezza contadina e trasversalità linguistica.

 

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