Settembre andiamo, è tempo di poetare

Un mese morbido fra transumanza e grembiulini
Una transumanza nelle valli bresciane - Foto Beppe Gheza per Zoom © www.giornaledibrescia.it
Una transumanza nelle valli bresciane - Foto Beppe Gheza per Zoom © www.giornaledibrescia.it
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Il morbido settembre piace ai poeti. «Settembre, andiamo. È tempo di migrare», cantavano i pastori di D’Annunzio. Non la terra d’Abruzzi, ma le balze trumpline risuonano invece nei versi di Aldo Cibaldi. La sua «Setèmber» apre così: «Setèmber l’ha sunàt töte le ciòche, / le malghe le se màla de passiù». E sembra di sentirli i campanacci della transumanza che scendono a valle, lasciando in quota gli stalli e i ripari ormai intristiti di muta solitudine.

La delicatezza della luce - impigliata nei cocci di bottiglia di un muro o nelle bacche rosse di un sorbo - è invece al centro di «Setèmber» dell’iseano Franco Fava. Che comincia così: «El sùl el cànta sotaùs / có le ciàpe d’i védre / ’n sìma ai mür. / Endömia söl marösen / i prim dùrcc». Tocca ad Elena Alberti Nulli - la dea protettrice della poesia dialettale bresciana, che solo pochi giorni fa ha sorriso all’arrivo del suo novantacinquesimo compleanno - con la sua «Setèmber» farci tornare alunni: «Setèmber el va a scöla / en prima elementar / col bigarì celest / tajat nel ciel seré / e sübit el prim dé / e töcc i dé de piö / el tóca i gra de l’ua / có la matita blö».

A me riporta indietro di decenni la parola bigarì, il grembiulino degli scolari. Il termine è parente di bigaröl, il grembiale che nonne e mamme usavano per non sporcare la treèrsa (la gonna) in cucina. Gli studiosi suggeriscono che bigaröl deriva dal latino «umbilicus» più il suffisso «-ariolus». Insomma: quel che copre l’ombelico. Solo i meno giovani fra noi ricordano di aver indossato il bigarì per entrare in classe. Ricordi morbidi, come una poesia settembrina.

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