La gatta sotto il tetto (lacrime nella pioggia)

Tra Blade Runner e le filastrocche della nonna
Brade Runner - © www.giornaledibrescia.it
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«Come lacrime nella pioggia». Le gocce dal cielo battono insistenti sui coppi del mio tetto mentre dallo schermo del televisore un intenso Rutger Hauer inscena per la milionesima volta la morte del replicante in Blade Runner («Ho visto cose che voi umani...»).
La pioggia e il pianto - a dire il vero - sono spesso raccontati insieme. Anche nella tiritéra che mia nonna mi ripeteva nelle lunghe giornate piovose: «Piöf, piöf, la gàta la fa l’öf, el minì el crìda, la gàta la sa marìda, sa marìda sóta i cóp, el miní el sa negót». In questa filastrocca per bambini il piangere (lo fa il minì, il gattino) è detto cridà. Verbo che come l’italiano gridare ci arriva dal latino quiritare, cioè invocare la clemenza dei Quiriti. Cridà più che un urlare (quello si direbbe vuzà, alzare la voce) è una lamentosa richiesta di aiuto.

Piangere, insomma. Ed è proprio con questo stesso significato che ritroviamo l’inglese cry e il tedesco Schrei.

In bresciano peraltro piangere si dice anche piànzer, con alcune varianti tra cui plàndi. Ma c’è anche un più raro lögià (o in alcune zone lücià) che affonda le radici nel lugére (piangere, addolorarsi) degli antichi romani. Dallo stesso tema deriva l’italiano lutto, cioè il periodo del pianto per eccellenza. Ma se la pioggia è sempre sincera, non sempre lo sono le lacrime. Lo sapeva bene la saggezza bresciana, che tra i suoi proverbi ricordava questa verità: «Caàl che süda, òm che züra, fónna che crìda, mài cridìga».
Intanto ha smesso di piovere sui miei coppi. Gatta o non gatta, io Blade Runner me lo rivedo fino in fondo. Per la milionesima volta.

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