L'anatomia del pollo? Metafora della vita

Crèsta, magù, ciciarù: quando termini concreti alludono a comportamenti umani, a situazioni psicologiche
Un gallo - © www.giornaledibrescia.it
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Il dialetto ha questa grande capacità: usare termini concreti (parole che indicano oggetti, intrise quindi di materialità, di carne e di sangue) anche per alludere a comportamenti umani, a situazioni psicologiche. E così succede che anche la semplice anatomia del pollo possa diventare metafora della vita.

Cominciamo dall’alto. Per confermarsi leader del pollaio - ad esempio - i galli amano mettere in mostra le escrescenze rosse che decorano la loro testa. Così, di uno che inizia a stimarsi si dice che «el g’ha mitìt sö la crèsta». Di una che si impicci di qualunque affare altrui si sente dire invece che «la öl sèmper mitìga al bèch». Scendiamo, e registriamo che «tiràga el còl a argü» è azione preliminare per «fàga le pène». Agli uomini come alle galline.

Andiamo alle interiora. Scopriamo che il ventriglio può essere detto masöla oppure, in alcune zone, predèr per la caratteristica del pollo di ingoiare piccole pietruzze che lo aiutano a frantumare il cibo ingerito. Ma è chiamato anche magù. E dire «’ìga el magù» significa proprio denunciare un triste peso sullo stomaco.

Ma eccoci alle zampe. In particolare, la coscia è detta galù (forse da un gallico calòn) tanto per le galline quanto per gli uomini. E così di chi non si vuole svegliare al mattino si dice che «el gìra ’l galù»: cambia pesantemente lato pur di rimanere sdraiato sotto le coperte. Ma il galù è anche misura di qualità della vita: a chi ti chiede «come ’àla?» puoi rispondere filosofico «mèi un galù che una àla».

Infine la gallina presenta il ciciarù, la parte con cui regala uova e il cui rilievo culinario è oggetto di dibattito. Ma noi ci fermiamo qui.

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