Coi dubbi sulla «esse» il riso è stracotto

Quando perdendo tempo si spappolano cibi e umori
Risotto - © www.giornaledibrescia.it
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«Ma la esse c’è o non c’è?» I due colleghi discutono animatamente. Sono in ritardo per il mezzogiorno e temono arrivando a casa di trovare un risotto con cottura ormai passata. «Sarà magòt» dice lui, «sarà smagòt» ribatte lei.

Chi ha ragione? Chiedono a me manco fossi un arbiter e io ricambio - come al solito - con più dubbi che certezze: credo abbiano ragione entrambi, perché entrambe le forme sono sufficientemente documentate nella parlata dei nostri nonni. Il termine rende l’italiano «stracotto» e ragionevolmente arriva da un latino «male coctus» (ipotesi sostenuta anche dal Melzani). La dicitura magòt sembrerebbe quindi più primitiva, mentre smagòt si arricchisce di un prefisso «esse» che qui ha una funzione accrescitiva.

L’aggettivo torna ad esempio nell’espressione còt magòt (o se preferite còt smagòt) che indica qualcosa di strabollito. Tanto che già il settecentesco «Vocabolario bresciano e toscano» riporta il verbo smagotà per l’italiano «spappolarsi, non tenersi bene insieme». Ogni termine in realtà - specie in dialetto - al primo significato letterale ne aggiunge altri traslati. E così in Valsabbia è documentato un uso di magotéla come «birichinata», indicando forse qualcosa sfuggito di mano. In Alta Valcamonica ho sentito invece dire che qualcuno «l’è lé a magotà» per indicare chi sta in disparte a borbottare malmostoso tra sé e sé, proprio come una pentola lasciata troppo sulla stufa a sobbollire... Ma noi perdiamo tempo fra vocabolari e ricordi e il mezzogiorno se ne va. A casa! Sennò altro che risotto magòt (o smagòt se preferite).

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