Bào: la paura antica dai celti a Eusebio

Lupi, gatte e notti scure per segnare limiti e divieti
La paura, qui è il vampiro nel film Nosferatu © www.giornaledibrescia.it
La paura, qui è il vampiro nel film Nosferatu © www.giornaledibrescia.it
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Quanto è antica la paura! Il dialetto porta con sé figure e stratagemmi che per millenni l’uomo ha legato al sentimento della paura. O che - più semplicemente e più frequentemente - sono stati utilizzati dagli adulti come utili stratagemmi per indicare ai bambini divieti e limiti da non valicare. Tanti gli esempi anche nel bresciano. Il primo che torna alla mente è il Bào, una parola-suono che impersonifica il mostro, il buio spaventoso, la cattiveria: il bambino che disobbedisce el la ciàpa el Bào.

Nei racconti delle nonne poteva anche diventare il Babào oppure (ma questo, almeno alle mie orecchie da bambino, lo rendeva più ironico e meno spaventoso) il Bào-pìpo. A questa parola-suono (i linguisti la definiscono fonosimbolica) vengono attribuite radici antiche. Il Melzani ricorda un celtico baobhai mentre il Gabriele Rosa nel suo ottocentesco «Dialetti, costumi e tradizioni delle provice di Bergamo e Brescia» definisce il Bào uno «spettro figlio delle tenebre con cui si intimidiscono i fanciulli» e rimanda addirittura ad un Baau che - scrive Eusebio (lo storico del IV secolo, non il calciatore conosciuto come la Pantera Nera) - «era per gli Egizi la impersonificazione della notte».

Spesso tocca agli animali assumersi il ruolo del cattivo, del castigatore di bambini disobbedienti. Attore principale è senza dubbio il lupo, el lùf. Ma anche il gatto - da sempre quadrupede inquietante la sua parte - ha un suo ruolo. Il gatto, o meglio la gatta scura. Che aiuta anche nelle rime: ìga póra de la gàta móra. Poi ci sono animali e figure immaginari. Ma ci torneremo...

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