Con Francesca Martinazzi un po’ di Borno è arrivato a New York

Dal 6 all’8 settembre il Monte Altissimo ha svettato tra i grattacieli di New York: l’artista camuna Francesca Martinazzi ha infatti esposto un’opera tessile intitolata alla montagna bornese alla mostra «1/2 Flex», tenutasi nella Grande Mela e parte del Textile Month organizzato ogni anno in settembre in città. Martinazzi ha tradotto il tema dell’esibizione, una riflessione sugli spazi abitativi newyorkesi, dall’inglese all’italiano e viceversa, attraverso la sua opera, che attualizza la tradizione millenaria della tessitura in Valle Camonica come testimoniato dalle incisioni rupestri della stele di Borno 1, proprio sotto l’Altissimo.
«Oltre ai telai verticali della roccia 1 del parco di Naquane risalenti al 1500 avanti Cristo, sulla stele Borno 1 dell’Età del Rame, in quelli che sono stati identificati come luoghi sacri gli archeologi hanno individuato incisioni con rettangoli frangiati, ovvero tessuti con il motivo decorativo della scacchiera», dice l’artista.
Alle millenarie radici camune, Martinazzi ha unito quelle famigliari: «Mia nonna Virginia è nata in America: la sua famiglia, originaria proprio di Borno, tornò in Italia quando lei aveva tre anni. Lei mi ha lasciato un grande corredo di tessuti e li ho usati come materiale per la mia opera in una sorta di cerchio che si chiude: li ho infatti aperti e ho usato i loro fili per nuove tessiture».
Tre parti
L’opera «Monte Altissimo» si compone di tre parti. Nella prima, l’artista ha ricreato la stele con i rettangoli frangiati incisi; nella seconda, ha tessuto tre di questi rettangoli per mostrarci com’erano; nella terza, ha usato gonne, lenzuola e tovaglie della nonna per raffigurarne la casa.

La sua opera dialoga con quelle delle due artiste newyorkesi Mariah Smith e Mae Colburn, fondatrici del Rag Rug Study Group: «Ci siamo conosciute su Instagram e, quando sono venute in Italia, le ho invitate da me», dice Martinazzi. «Ci accomunano il motivo a scacchiera e il fatto che lavoriamo con il cosiddetto pezzotto, cioè un tappeto fatto di materiali di recupero tessile: ’rag rug’ è il tappeto di stracci. Le differenze riguardano gli strumenti e la tecnica: Smith ha usato un telaio verticale simile a quello preistorico, Colburn un telaio orizzontale a quattro licci guidati da quattro pedali e io un telaio orizzontale a due licci che viene dalla Valtellina, dove la tradizione di tessere tappeti è ancora attiva».
Per l’artista camuna si è trattato della prima trasferta internazionale, invitata dalle colleghe che l’hanno spinta a realizzare quest’opera appositamente per l’occasione: «Volevo realizzarla da tempo, ho trovato il progetto giusto per usare i materiali di mia nonna, così preziosi per me». Ci ha lavorato dalla scorsa primavera e, aprendo i tessuti per creare i fili dell’ordito, «si è sprigionato l’odore della persona che li ha indossati, per cui è stato come convivere con mia nonna stessa».
Radici

Con i numerosi visitatori, Francesca Martinazzi ha potuto parlare delle incisioni rupestri camune, patrimonio dell’umanità da cinquant’anni e che l’Unesco ha riconosciuto per primo tra i siti italiani. L’aspetto umano «di me che, un secolo dopo, ritorno negli Stati Uniti e riporto con me mia nonna attraverso i suoi vestiti, che ora hanno preso nuova vita, è piaciuto molto».
Per Martinazzi la tessitura è una tecnica che porta dentro fin dagli studi d’arte: l’incontro con l’artista Paola Besana, maestra e amica, è stata la svolta per lei. Senza contare che il destino sembrava legarle: Besana è infatti nata a Breno perché il padre era, negli anni Trenta, dirigente dello stabilimento tessile Olcese di Cogno, dove la nonna di Martinazzi ha lavorato come operaia una volta tornata dall’America. Un ennesimo filo che tiene insieme il presente col passato, la Valle Camonica e gli Stati Uniti, e un motivo per cui essere grata: «Grata» è infatti il suo nome su Instagram. «L’ho scelto - spiega Francesca - perché mi piace visivamente, con una ’A’ centrale contornata da quattro lettere. Poi la grata è una tessitura di ferro e, in Valle Camonica e in genere nel Bresciano, il grappolo d’uva. Ma soprattutto è la parola che richiama la gratitudine».
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato
@I bresciani siamo noi
Brescia la forte, Brescia la ferrea: volti, persone e storie nella Leonessa d’Italia.
