13 HOURS: THE SECRET SOLDIERS OF BENGHAZI

Regia: Michael Bay
Con: John Krasinski, Freddie Stroma, Toby Stephens, Pablo Schreiber, David Denman, Max Martini, James Badge Dale
Genere: azione/bellico
Distribuzione: Universal
Un bellico Usa meno ideologico e militarista del solito prodotto made in Hollywood con credibili interpreti e azzeccate pause psicologiche fra le sparatorie che racconta fatti realmente accaduti nel 2012 (guarda caso proprio l’11 settembre, nell’anniversario delle Twin towers) in Libia questo “13 hours: The secret soldiers of Benghazi” ora disponibile per visioni domestiche in blu ray e in dvd. Ma la cosa più strana di questo che potrebbe essere definito un “film d’assedio” alla Carpenter, con nemici senza volto ma subdoli e letali, concretizzazione visiva di quelli che la gente pensa siano i terroristi mediorientali, è che è firmato da Michael Bay, regista eccessivo, adrenalinico, fracassone nelle musiche e dal montaggio iperframmentato (sua la saga di “Transformers” che per una volta ha voluto rendersi meno riconoscibile e rinunciare alle esigenze più spettacolari per far riflettere su eroismo e spirito di sacrificio, ma anche sui gravi errori in fatto di politica internazionale commessi dall’amministrazione di Obama e in particolare dall’attuale candidata alla presidenza Hillary Clinton che all’epoca era Segretario di Stato, ruolo ricoperto dal gennaio 2009 al febbraio 2013. Per una certa assonanza di temi e sia pure con i dovuti distinguo (è qualitativamente un po’ migliore il film di Ridley Scott del 2001 che denunciava le responsabilità dell’amministrazione Clinton in tema di Somalia), Bay ha voluto girare il suo “Black Hawk down” e non solo perché parla di un gruppo di militari e di funzionari Usa assediati e a rischio di vita (e qualcuno la lascerà) in un Paese infido, dove non si sa chi sia alleato e chi nemico, ma soprattutto mettendo in evidenza e sotto accusa i giochi ambigui delle politica che arrivano a prevalere sulla solidarietà. Ovviamente, in entrambi il film non è il caso di sottilizzare sul fatto se sia giusto o sbagliato che l'America si arroghi il ruolo, magari non richiesto, di gendarme del mondo: si parte dal presupposto (e questo ideologico è il tallone d’Achille dei due film) che ciò lo sia e si respira l’aria da anarchico di destra tipica di Clint Eastwood che mette da una parte i combattenti, eroici ma che potranno persino risultare sacrificabili, e i burocrati dall’altra, legati alla scrivania che sanno solo dare ordini, e in qualche caso purtroppo sbagliati, per conservarla e conservare il loro potere piccolo o grande che sia.
La vicenda si svolge nella Libia, “liberata” da Gheddafi e dal suo regime, ma per insipienza militar-politica dei potenti occidentali lasciata cadere in mano alle fazioni (cui si sarebbe poi aggiunta pure l’Isis): a Bengasi, sorgevano poco distanti fra loro un’ambasciata Usa e una sede segreta della Cia difesa da sei contractor (mercenari civili in genere al servizio di multinazionali): tutti ex-militari – quattro avevano fatto parte dei Seal, gli incursori superaddestrati e fiore all’occhiello della Marina Usa - alcuni sposati e magari con prole, ma tornati su un fronte caldo perché incapaci di condurre una normale vita privata. Quando l’ambasciata fu assalita e data alle fiamme da combattenti ostili, essi, contro la volontà del pavido capo della Cia, scelsero autonomamente di intervenire per impedire un probabile massacro di civili Usa (in buona parte impiegati) e, dopo una notte di combattimenti, lasciati soli e senza copertura a aiuti dal cielo aerea (perché? Meglio stendere un velo pietoso contro chi getta il sasso ma poi nasconde la mano, aveva fatto cadere Gheddafi e lasciato in suo Paese in balia a se stesso), riuscirono a salvare una trentina di persone. Dei sei non tutti tornarono: da qui le didascalie finali con immagini dei caduti e sorte dei sopravvissuti. Stranamente per un prodotto delle Universal, sia il dvd che il blu ray non offrono alcun extra.
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