Volley

Simone Tiberti: «Due coppe, un’impresa: non smetto e sogno Brescia in SuperLega»

Il palleggiatore e capitano della Consoli di serie A2 maschile ha 44 anni e non smette di allenarsi e pensare in grande
Ospite nella redazione del GdB Simone Tiberti con i due trofei conquistati: Coppa Italia e Supercoppa - © www.giornaledibrescia.it
Ospite nella redazione del GdB Simone Tiberti con i due trofei conquistati: Coppa Italia e Supercoppa - © www.giornaledibrescia.it
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Se a 44 anni hai ancora voglia di andare ogni giorno in palestra ad allenarti e dedicare al campo il fine settimana, significa che alla base la passione, la voglia di vivere e condividere lo spogliatoio, sono ancora la benzina che muove fisico e mente. Poi certo capita di pensare qualche volta ai week end mai liberi («Adoro sciare, quanto mi piacerebbe andare con tutta la famiglia il sabato e la domenica»); ecco però arrivare l’impresa, tipo vincere Coppa Italia e Supercoppa di serie A2 di volley in una sola settimana. E allora ti trovi sotto la doccia a Grottazzolina dopo un successo insperato, guardi i compagni di squadra e dici: «Beh, sarebbe il momento perfetto per smettere, da vincitore». E tutti si mettono a ridere, perché sanno che tanto non è vero. E lo sa benissimo anche lui, Simone Tiberti, capitano e simbolo della Consoli Sferc Brescia, dalle cui mani passano e passeranno gli attacchi dei Tucani. «Perché sì - dice - vado avanti a giocare e sogno di portare Brescia in SuperLega».

Partiamo dalla... fine. In una settimana sono arrivate Coppa Italia e Supercoppa, mai nessuno c’era riuscito.

«E alla fine quasi non ci siamo ancora goduti fino in fondo l’impresa che abbiamo fatto. In Coppa Italia avevamo delle belle sensazioni, poi vedendo la favorita Grottazzolina uscire in semifinale ci siamo detti che l’occasione andava sfruttata. E così poi è stato in finale con Ravenna. È stato difficile ritrovare subito la concentrazione, ma ci siamo riusciti e quello a Grottazzolina per la Supercoppa è stato il vero colpaccio, molto più complicato rispetto alla Coppa Italia, perché siamo andati a vincere su un campo in cui i padroni di casa avevano perso solo una partita. E solo ora ci stiamo rendendo conto di quanto fatto».

Il pensiero dove è andato?

«Dopo il trionfo della Coppa Italia alla finale persa nel 2020 a Bologna contro Bergamo in quella domenica 23 febbraio surreale, col palazzetto pieno e una Nazione che iniziava a fare i conti col Covid. In generale invece alla società Atlantide che si meritava la doppia gioia dopo gli sforzi che da anni fa per il movimento».

Due coppe in bacheca cancellano il rammarico per i play off persi contro Siena?

«Un po’ sì, ma non del tutto, visto che se guardiamo a chi abbiamo battuto per arrivare ai trofei sono le stesse squadre affrontate nel cammino verso la SuperLega. E allora l’amarezza di fondo rimane. Soprattutto per il ko con Siena in gara-2 dei quarti di finale a Brescia, quando eravamo avanti 8-2 nel quinto set. Mai in carriera mi era capitato di perdere essendo tanto avanti nel tie break. A fine match sono rimasto 10 minuti in panchina seduto, incredulo. Un colpo tuttora duro da digerire».

Una sconfitta, poi ininfluente, era arrivata anche contro Reggio Emilia in Coppa Italia. Seguita da una sua uscita pubblica in cui attaccava l’atteggiamento della squadra.

«Avevo visto un atteggiamento da vacanza e l’ho detto chiaramente, perché il capitano è quello che deve prendere posizione pure all’esterno, per chiedere scusa ai tifosi. Puoi perdere, ma non come abbiamo fatto noi in Emilia, era quello il messaggio per tutti. E ai ragazzi ho detto: "Questo è un pugno in faccia, ci farà bene, vediamo di rialzarci e di non avere più un simile atteggiamento". Da quel momento non abbiamo più perso».

Nel complesso che voto dà alla stagione della Consoli?

«Nove perché se ci avessero detto a inizio stagione che avremmo portato a casa due trofei sai quante firme... Non è dieci per come siamo usciti dai play off, non tanto perché siamo stati eliminati».

E un voto alla sua stagione?

«Sono molto critico con me stesso. Fino al ko con Siena dico 6.5, lo alzo a otto dopo i due successi. In Coppa Italia ho preso anche il premio di Mvp, ma poteva andare ad altri miei compagni per come ha giocato la squadra».

Fisicamente come è stata l’annata?

«Ottima fino a marzo, poi con qualche acciacco a schiena e ginocchio. Paradossale perché sempre, in primavera, Roberto Zambonardi viene e mi chiede se può contare su di me per la stagione successiva. "Roby, io voglio giocare, ma non è detto che sia qui, non devo essere un peso". Da lì ecco i fastidi... Comunque alla fine ora sto bene, mi riposo e sarò pronto a ripartire. E sì, con la Consoli».

Qual è la spinta a 44 anni?

«La voglia di andare in trasferta, di scendere in campo ogni giorno, di mettere alle spalle i problemi fisici. E poi...».

Poi?

«Arrivo al mio decimo anno con la Consoli, sono prossimo a tagliare il traguardo delle 700 partite, non potevo smettere. E voglio portare Brescia in SuperLega, sarebbe la mia quinta promozione».

Ma Brescia è pronta per andare in SuperLega?

«La città sì secondo me e i due ultimi trofei sono una buona base di partenza. Manca però un industriale appassionato che possa dare una mano a chi da anni lavora per l’Atlantide, anche se condivido la strada presa da Zambonardi di avere tanti partner al proprio fianco. Più vai in alto però e più devi migliorare e le risorse servirebbero per far fare un salto in avanti a società e squadra».

Cosa manca in campo per puntare alla SuperLega?

«Quest’anno il sestetto titolare era molto forte, mancano secondo me ricambi forti che siano utili sia in partita sia in settimana per fare allenamenti tosti, con qualcuno dietro che se non dai sempre il 100% ti prende il posto».

Lei sa a chi passare il testimone?

«Per ora no, ma alle mie spalle ci sono tanti palleggiatori giovani che devono crescere. Io a 20 anni ero in serie C».

D’altronde il palleggiatore è un ruolo delicato, un po’ il 10 del calcio.

«Direi più il 5, come il mio numero. Regista puro, alla Falcao, a disposizione della squadra. I 10 sono quelli come Abraham, fantasiosi e imprevedibili».

I suoi figli li vede come suoi eredi?

«Vorrei che facessero sport di squadra, per la pallavolo c’è tempo: sono piccoli, per adesso va bene il calcio».

E lei come si vede tra dieci anni?

«La pallavolo è nel sangue, mi piacerebbe allenare: sto facendo esperienza con una selezione under 15, vedremo. Ho scoperto però che mi piace tantissimo fare l’agente immobiliare, vorrei essere bravo a conciliare le due cose».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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