Renato Gei, una carriera da propheta in patria

Avrebbe compiuto oggi 100 anni, Renato Gei, bresciano ed icona del Brescia calcio, uno dei magnifici quattro allenatori (gli altri sono due ungheresi, Imre Schoffer e György Hlavay, quindi Carlo Mazzone) capaci di ottenere la salvezza alla guida del Brescia (due volte, nel suo caso) negli oltre novanta anni di serie A a girone unico. Ci ha invece lasciato nel maggio del ’99, a 78 anni, ma l’ex attaccante delle rondinelle (e non solo; in serie A è stata la Fiorentina la squadra per la quale ha segnato di più, la Sampdoria quella con la cui maglia ha offerto le prestazioni migliori) è un punto fermo nella storia del nostro calcio.
«E più ricordato per quello che ha fatto da allenatore, piuttosto che come giocatore - ricorda il figlio Paolo -, anche se fu suo il gol realizzato a Reggio Emilia nella gara decisiva per vincere il campionato di serie C, nel giugno del 1939. Un torneo nel quale aveva esordito a solo 16 anni...».

Il Renato Gei giocatore è un attaccante capace di segnare gol a grappoli, 25 in venti gare al suo primo campionato in B, per questo a vent’anni lo acquista il Torino, che però lo gira subito alla Fiorentina («ad una cifra alta per l’epoca, anche perché si trattava di un giovane») ed in maglia viola gioca due campionati di serie A alla grande ed intravvede a maglia azzurra. «Poi, però - ricorda Paolo - arriva la guerra e si porta via gli anni migliori e, forse, anche il sogno di prendere parte al mondiale del 1950...». Torna a Brescia, ritorna a Firenze quindi passa alla Sampdoria. «E lì gioca come numero dieci, non più come centravanti, va comunque in doppia cifra e dopo le convocazioni in Nazionale B trova anche la maglia della Nazionale maggiore, che indossa a Lugano, nell’1-1 contro la Svizzera». Sarà questa l’unica presenza.
La sua carriera di giocatore lo vede tornare nuovamente a vestire la maglia delle rondinelle, quindi chiude giocando un anno in serie C al Pavia.

Il Gei allenatore è quello che i tifosi del Brescia ricordano maggiormente. Ma ne hanno ben donde, visto che dopo gli inizi a Pavia (nello stesso anno in cui è pure giocatore), le due stagioni alla Sampdoria a fianco di Monzeglio («e dell’inglese William Dodging - ricorda il figlio Paolo -: mi ha sempre detto che questo tecnico fu importante per la sua carriera») e quelle al Genoa, nel 1963 Gei torna all’ombra del Castello per dare il via ad un quadriennio di grande qualità.
In verità per molti il tecnico bresciano si prende un grande rischio quando decide di sedersi sulla panchina di una compagine che inizierà il suo cammino con una penalizzazione di ben sette punti. «Le squadre di mio padre avevano l’abitudine di partire forte - ricorda però Paolo - e quella non fece eccezione, al punto che arrivò addirittura al primo posto. La gara con il Lecco, prima rinviata per nebbia e poi persa segnò l’inizio della fine, ma fu quello un gran Brescia». Che mise in quella stagione le basi per la successiva promozione, che avrebbe già conquistato se non fosse partita ad handicap.
«Di quell’anno ricordo due momenti: la vittoria in casa 4-1 sul Napoli, al termine della quale ricordo un pubblico festante come poche altre volte, e la festa per la promozione. Di lunedì, in quanto l’aritmetica giunse grazie alla vittoria 2-1 a Palermo. La squadra, però, tornò in città il giorno dopo e ricordo il pullman arrivare in Piazza Vittoria tra due ali di folla».
L’anno dopo, nella massima serie, la prima salvezza con l’ottimo nono posto migliorato solo dalla squadra di Mazzone, Baggio e Guardiola, nel successivo la conferma in categoria arrivò all’ultima giornata. «Mio padre era considerato uno molto dentro la squadra, bravo nei rapporti con i giocatori. Meno con la stampa oppure con i dirigenti. Ogni tanto ricordo che ai vostri colleghi dell’epoca diceva in stretto dialetto di andare a parlare con Cecco Lamberti, perché lui non aveva nulla da dire. E questo, forse, gli costò la panchina del Milan, che pure lo aveva cercato, ed in rossonero avrebbe allenato Gianni Rivera...».
Tra i giocatori che più ricordano Gei allenatore due icone come Salvi e Bianchi. Il tecnico che vinse lo scudetto con il Napoli, mediano moderno in maglia Brescia, spesso si è paragonato a Gei per il suo modo di porsi con i suoi giocatori; Salvi, invece, nato numero dieci, fu spostato nel ruolo di ala proprio da Gei. Che trasformò pure il libero Rizzolini in un Beckenbauer ante litteram. Bresciano, propheta in patria: questo è stato Renato Gei, icona di un Brescia che fece sognare a lungo i propri tifosi.
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