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Griffen: «Sfida da vincere anche per bimbi speciali come il mio»

L’ex rugbysta neozelandese: «In questa situazione penso alle difficoltà delle famiglie che hanno bambini autistici»
Griffen dopo un successo con moglie e figli allora piccoli - © www.giornaledibrescia.it
Griffen dopo un successo con moglie e figli allora piccoli - © www.giornaledibrescia.it
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Se la vita è come una palla da rugby per cui non potrai mai sapere quale sarà il suo prossimo rimbalzo, allora quella contro il coronavirus: «È una partita molto più lunga di 80’, nella quale si sa di dover stringere i denti, ma che tutti insieme e giocando di squadra si può vincere. Pensando tra l’altro anche al fatto che "il pubblico", che poi sono gli italiani che mi sembra stiano facendo benissimo la loro parte tutto sommato, ha risposto bene alla chiamata».

Paul Griffen ci risponde al telefono che ha da poco posato un pennello: «Sto ripitturando il cancello di casa... Cerco di approfittare di questo tempo e intanto mi diverto con la mia famiglia». Karla e i loro figli Jackson di 16 anni e Tyson di 11. Cartolina dalla bassa Bresciana: il punto sulla mappa coincide con Calvisano dove il mediano di mischia Paul Griffen approdò nel 2000 da Napoli che era stata la prima meta italiana di quel ragazzo del ’75, mediano di mischia, nato e cresciuto a Dunedin, Nuova Zelanda. Paul allora non sapeva che quella seconda meta sarebbe diventata la sua seconda casa e che col giallonero addosso avrebbe scritto delle pagine di storia indimenticabili per il rugby nostrano: 4 scudetti in 14 anni.

Vent’anni dopo, Griffen è ancora e sempre uno di noi: «Perché l’Italia come la Nuova Zelanda ha il culto della famiglia e dello stare insieme, in questo mi rispecchio. E Calvisano è una bella comunità che sta reagendo molto bene a quello che è questo tragico momento storico. Da comunità vera. Sono sincero: credevo che questa partita sarebbe stata più breve e inizialmente come molti l’avevo sottovalutata. Ora però come tutti so che bisognerà lottare ancora a lungo».

L’essere rugbysta, ma ancora prima sportivo, da sempre aiuta Paul a guardare in faccia qualsiasi avversario e ad affrontarlo senza paura. Sul campo. E anche fuori. «Sfida» è la password di casa Griffen dove da 16 anni se ne affronta una quotidiana: il primogenito Jackson è affetto da autismo. Non fu semplice per Paul e Karla fare i conti con la dura realtà della diagnosi arrivata quando Jackson aveva 3 anni. Ma passato lo smarrimento iniziale ogni energia venne canalizzata sul benessere di quel bimbo che oggi è un adolescente che ha abbattuto ostacoli su ostacoli grazie all’amore e alla forza dei suoi genitori e del suo fratellino, grazie al sostegno di associazioni ed educatori che hanno fatto la differenza.

L’emergenza coronavirus, sta mettendo a dura prova tutti, ma qualcuno di più. E si tratta appunto di quelle famiglie in cui ci sono figli affetti da disabilità per fronteggiare le quali servono sostegno e presenze costanti. Che in un momento del genere non possono esserci. «Noi siamo molto fortunati - ci racconta Paul - ma altre famiglie no. Collaboro con tante associazioni e tutti i giorni vengo a conoscenza di situazioni davvero devastanti. Il coronavirus ha distrutto la quotidianità di famiglie e ragazzi che invece di quotidianità e abitudini hanno estremo bisogno.

Io dico che noi siamo fortunati - racconta Paul - perché abbiamo una casa con spazio all’aperto, per cui Jackson può correre e sfogarsi, possiamo fare tante cose insieme... Inoltre ci aiuta tanto la tecnologia: il maestro di nuoto ad esempio ogni settimana ci manda un videomessaggio per Jackson in cui ride e scherza e mio figlio si diverte. Ma non tutti vivono in contesti così sia a livello abitativo che tecnologico perché poi magari ci sono associazioni che non hanno gli strumenti per sfruttare la tecnologia che rappresenta un aiuto fondamentale mancando quel contatto di cui i ragazzi, mio figlio compreso, hanno tanto tanto bisogno...».

E ancora: «Quello che io chiedo in questo momento è che famiglie con questo tipo di difficoltà non siano lasciate sole e che ci sia chiarezza anche nelle normative. Alcune persone mi hanno raccontato di aver portato fuori i loro ragazzi per delle passeggiate come il decreto consente in certi casi e di averli dotati anche di un segnale di riconoscimento come il famoso fiocco blu... Ma sono stati insultati. Questo non può accadere e più che mai sono tante le persone che non possono essere lasciate sole a maggior ragione ora».

 

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