Malore di Bove, la morte di Renato Curi ci ha insegnato qualcosa

Se a due settimane dai fatti siamo ancora qui a palpitare per le condizioni di Edoardo Bove, il centrocampista della Fiorentina accasciatosi durante la partita con l’Inter dell’1 dicembre scorso, vuol dire che per la grande tribù del pallone c’è ancora speranza. Non siamo poi così estranei ai drammi individuali, al di là di ogni bandiera e fede calcistica, e quando il ragazzo in maglia viola ha improvvisamente fermato la sua corsa, ci siamo fermati anche noi, sbigottiti per quanto avvenuto. E che tra l’altro non abbiamo vissuto in diretta, nonostante le decine di telecamere che oggi si affollano ai bordi del campo, perché l’attenzione di tutti era concentrata su quanto avrebbe deciso il Var per un gol annullato a Lautaro.
La scena del malore è stata intercettata giusto da una panchina, da dove si intuisce che Bove, rialzatosi da terra perde subito i sensi, ed è soccorso da compagni e avversari. E così nell’era del Grande Fratello, dove tutti ci sentiamo osservati e vivisezionati, non ci siamo commossi per quanto (non) abbiamo visto ma per le reazioni di chi ha assistito all’episodio. Quelle facce affrante dei calciatori, alcuni con le mani nei capelli, sono immagini che difficilmente si dimenticano. Lo stesso arbitro Doveri sembrava un altro: non l’imperturbabile e inflessibile direttore di gara ma un uomo sconvolto per la sorte di un ragazzo di 22 anni. Non c’è tv del dolore – spesso amplificata e posticcia – che possa raggiungere vette di tale emotività.
Lo show non è andato avanti, secondo una lugubre legge del mondo dello spettacolo e la partita è stata subito sospesa, come non avvenne il 30 ottobre 1977 durante Perugia-Juventus. A inizio ripresa Renato Curi crollò improvvisamente al suolo, venne portato esanime fuori dal campo, gli furono praticate due iniezioni e un massaggio cardiaco, venne caricato su un’ambulanza e portato al Policlinico dove spirò proprio mentre finiva la partita col radiocronista Sandro Ciotti a gelare l’Italia intera con un terribile annuncio: «Il centrocampista Curi del Perugia è morto».
Per fortuna con gli anni è maturata una spiccata sensibilità, alla faccia degli obblighi del calendario, e anche nelle categorie minori ci si ferma sempre per episodi del genere. Proprio domenica 1 dicembre, il giorno di Fiorentina-Inter, durante il match di serie D Cjarlins Muzane-Adriese il direttore generale della squadra ospite Sante Longato è morto sugli spalti, stroncato da un malore, e la partita è stata immediatamente sospesa. E solo un mese prima era successo lo stesso a una donna che si è sentita male in tribuna (e poi è deceduta) sotto gli occhi del figlio, in campo con la maglia del Livorno Bianzè nella sfida di Prima categoria contro lo Junior Torrazza. Anche in questo caso l’arbitro ha mandato tutti a casa.
Sulla mancata interruzione di quel Perugia-Juventus molto fu scritto, l’ipotesi più realistica è che il protocollo allora non prevedeva casi del genere forse perché un po’ tutti – anche nel riascoltare le radiocronache di allora – credettero a un malore passeggero. Anni dopo rivelò Pierluigi Frosio, in campo quel giorno con la maglia del Perugia: «Restammo letteralmente sconvolti, quando tornammo in campo la domenica successiva avevamo paura che una cosa del genere potesse capitare a ciascuno di noi, camminavamo invece di correre e nella prima mezz’ora della partita contro il Napoli al San Paolo prendemmo tre reti». Oggi Renato Curi vive nel ricordo di chi gli ha voluto bene e gli è stato dedicato lo stadio della città. In quanto a Bove, le sue condizioni sono sempre più rassicuranti. Non sappiamo se tornerà a giocare ma intanto ha finalmente lasciato l’ospedale. Ed è la cosa che conta di più.
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