Il centravanti, quella figura che oggi manca

Ammetto che la ripresa del campionato con i non irresistibili Spezia-Venezia, Lazio-Sassuolo e Salernitana-Torino non ha avuto l’effetto di far voltare pagina dopo il triste epilogo delle qualificazioni ai Mondiali. Si dirà che ci si abitua a tutto, che s’era già passati da un simile baratro e che alla fine troveremo il modo di uscirne. Juventus-Inter di questa sera fungerà poi da potente anestetico anche se credo che la sconfitta della Nazionale contro la Macedonia del Nord abbia tolto un po’ di voglia di vedere ancora calcio. Invece ci sarebbero un sacco di motivi contrari.
I giovani non crossano più
La volata per lo scudetto, la Coppa Italia alle battute finali, soprattutto la Champions League con le sue sfide più sentite. Per tacer delle non minuscole speranze per Atalanta e Roma di andare fino in fondo a Europa League e Conference League. Siamo invece ancora a domandarci perché, a flagellarci con improbabili analisi frutto di impulsi momentanei, di simpatie o antipatie o di voglia di buttare tutto via, dimenticando che il senso della misura va trovato sia quando si vince che quando si va fuori. Illuminante una lettura data giorni fa da Alessandro Costacurta. Secondo il quale i giovani calciatori italiani non crossano più, non vanno più in area volentieri, non cercano di saltare l’uomo e la passano sempre indietro. Alimentando quella maledetta «costruzione dal basso» che oltre a far rischiare l’infarto ai tifosi di chi la esercita ossessivamente, non è quasi mai altro se non un ritardare la cessione della palla agli avversari. Costacurta ha ragione da vendere, soprattutto perché arriva a queste conclusioni dopo un’attenta visione delle partite del campionato Primavera. Un torneo completamente scomparso dai radar e, temo, territorio di aspiranti stregoni della panchina, santoni in erba capaci di esaltarsi per il quinto giro palla e infastiditi quando uno dei loro cerca, e magari trova, una soluzione al di fuori di uno schema.
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Il centravanti che manca
Si dice che il calcio italiano non sia più in grado di produrre un buon centravanti. Naturalmente non è vero, nel senso che è un problema che non abbiamo solo noi. Se ti nasce, e non si perde, un Lewandowski allora per quindici anni sei a posto. A noi non accade da tantissimo tempo. Forse da quando si è materializzata, prima in maniera carsica e poi dilagante, la variante conosciuta con il triste appellativo di «falso nueve». Qualcosa che da opzione per squadre molto particolari, tipo il primo Barcellona di Guardiola, è dilagato in ogni dove producendo l’appiattimento totale di un ruolo che non si improvvisa. Un problema simile ce l’ha il basket, da quando si sono inventati che tutti devono saper correre e tirare come guardie. Con il risultato che nessuno impara più i fondamentali sotto canestro e se per caso si presenta in palestra uno sopra i 2 metri e dieci lo impostano per farlo tirare da tre punti. Per fortuna le mode come vengono poi se ne vanno. Qualche danno lo provocano, si tratta di capire in anticipo quando è il caso di invertire una tendenza. Sarebbe auspicabile farlo quando ancora le cose vanno bene. Perché cambiare quando va male è operazione alla portata di tutti.
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