Il Brescia riscopre la paura sul campo: clima da tutti contro tutti

Venghino signori, venghino. Che ce n’è per tutti alla fiera della tristezza, degli errori, degli orrori e degli interrogativi. Su tutti, il solito: a qualcuno, che non siano i soliti pochi – sempre più pochi – noti, il Brescia e le sue sorti stanno a cuore? Se qualcuno c’è, allora la cosiddetta «ultima chiamata» evocata da Massimo Cellino non può che essere per costoro.
Momento buono
Questo è il momento buono per farsi avanti. Momenti buoni per la verità ce ne sono già stati anche in passato: ma nessuno ha raccolto la sfida. Il fatto è che non c’è neanche la lontana sensazione che qualcuno abbia voglia di farlo proprio ora.
Ecco allora che il Brescia attuale è il prodotto diretto di questo gelo, questa indifferenza, di questa lontananza della città: a tutti i livelli, dall’alto in basso. E così, ci risiamo. Con nell’aria segnali inquietanti, che riportano al ricordo della stagione della retrocessione sul campo.
Il Brescia è ancora e sempre malato. Ogni tanto dà dei segnali, saltuariamente dà l’idea di essere guarito. Ma poi, immancabilmente, finisce sotto la tenda a ossigeno. Con ulteriori energie che finiscono consumate e bruciate in quello che ormai è, a tutti gli effetti, un clima di pura resistenza. Ciascuno con le proprie ragioni e recriminazioni, tutti chiusi e arroccati nei rispettivi angoli da dove si combatte in un tutti contro tutti.
Toni alti
Con la tensione arrivata nuovamente a cento con un’impennata improvvisa voluta da Cellino che all’indomani dell’esonero di Rolando Maran ha alzato i toni dello scontro verbale con i tifosi. Dichiarazioni per certi versi kamikaze in un momento delicato che hanno fatto cadere il fragile castelletto della (mal)sopportazione reciproca.
Cellino dà l’idea di non sopportare più Brescia. Brescia – quella calcistica – ripaga col medesimo sentimento.
Ma così, dove si può andare? Solo a schiantarsi, nuovamente. Disfattismo? Negatività? No: esperienza che non può non aver insegnato nulla a nessuno. A partire, ovviamente, da chi comanda. Qui si scherza nuovamente con il fuoco. In uno schema ormai impazzito in cui sistematicamente quelle che dovrebbero essere normali dinamiche calcistiche escono dai binari. E finisce che di calcio non si parla mai. E finisce che si passa al piano delle continue recriminazioni. In tutto questo, c’è una squadra ripiena di paura che combatte con i propri demoni. Anche qui: sempre gli stessi. Demoni che vanno a nozze con una diffusa mancanza di personalità. Che si traduce in prove, che non sono nemmeno prove, come quella contro la Carrarese. Il peggio del peggio. Qualcuno ci ha suggerito: «Sembrava il Brescia della partita contro la Cremonese prima dell’arrivo di Maran». Ci sta. E non è molto bello essere tornati là con la testa visto che quel Brescia era «autogestito» mentre questo ha appena cambiato la guida tecnica.
Bisoli
A Pierpaolo Bisoli, adesso, servono due spalle larghe così nella speranza che il suo entusiasmo e il suo sorriso – che un po’ ci hanno ricordato quelli di Gigi Cagni, il quale pure cominciò la missione salvezza con una serie di pari – non finiscano nel tritatutto.
Purché però queste armi che sono la forza di Bisolone (al quale è doveroso dare credito e sostegno), vadano ad abbracciare un minimo di identità. Ovvero: un minimo sindacale di gioco. Perché non si può pensare di trarre dagli impicci questa squadra – che non è fatta per le battaglie pur dovendo imparare a starci nelle partite brutte e sporche – non facendola giocare. Bisogna ripartire, oltre che dal fatto di non aver preso gol, da questo presupposto.
Fermo restando che gennaio è alle porte e che la società non può pensare di rimanere inerme: al di là delle necessità tecnico tattiche, bisognerà iniziare dal ricambio di qualche faccia. Serve che entri aria fresca. Il campionato è ancora lungo – ma già con la Salernitana si preannuncia una gara molto delicata – però si sa che ci si impiega un attimo ad arrivare, anche qui, all’ultima chiamata. C’è tutto da perdere.
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