Hubner: «Brescia, ora per esaltare le punte serve il lavoro di tutti»

Dici Brescia-Sampdoria e subito, almeno per i tifosi meno giovani, la mente va a quel 13 settembre del 1997 quando al Rigamonti, per la seconda giornata di serie A, un «bisonte» fece impazzire i difensori blucerchiati e, di gioia, i supporter biancazzurri. Dario Hubner piazzò la sua prima tripletta nella massima serie (le seconda la firmerà poi contro l’Udinese) e lo fece dopo il gran gol all’esordio - sia in A che con la maglia delle rondinelle - in quel del Meazza contro l’Inter dell’esordiente Ronaldo e di un super Recoba.
Gran gol come quelli rifilati ai doriani (il video di quel match è ancora visibile in rete), uno più bello ed esaltante dell’altro. E poco importa se poi la sfida finì con un roboante 3-3 perchè negli occhi della gente restò (e resta tutt’oggi) il bagliore di quell’impresa personale.
«Eh sì - sorride oggi Hubner - chiaro che quei gol me li ricordo bene. Fu una giornata speciale per me che avevo raggiunto la più alta categoria all’età di 30 anni…».
L’età della piena maturità o un approdo in ritardo?
«Mah, erano altri anni… Non si può paragonare il calcio di oggi a quello di trent’anni fa. A quei tempi, chi arrivava in serie B, o era un fenomeno o aveva fatto lunga gavetta in serie C. E questo lo rendeva pronto. Adesso, basta fare 3 o 4 presenze come si deve che le categorie vengono scalate in un amen, senza capire se davvero quel giocatore sia adatto e pronto per quel campionato. Ai miei tempi, era d’obbligo fare almeno 2 o 3 anni nella categoria inferiore per poi, se eri davvero bravo, fare il salto».
Il tutto a scapito della qualità…
«Purtroppo sì. Gli attaccanti di B della mia epoca, i Tovalieri, i Caccia, i Marulla, o Schwoch, oggi farebbero 35-40 gol a stagione in cadetteria».
Torniamo ai giorni d’oggi: come giudica il reparto attaccanti del Brescia?
«Io ho sempre detto che l’attaccante è bravo quando la squadra lo mette nella condizione di tirare in porta. Lautaro, per fare un esempio, è un grande goleador, ma l’Inter gli consente, ogni partita, di fare almeno 5 conclusioni in porta. E lui, uno o due gol li fa perché è bravo. Chiaro che, per tornare al Brescia, se un attaccante ha al massimo una o due possibilità di inquadrare la porta, diventa difficile. Certo, la punta deve sempre fare i movimenti giusti ed avere qualità, ma senza l’aiuto dei compagni, che può fare? Ormai, con Messi e Ronaldo sul viale del tramonto, solo Mbappé si inventa i gol da solo».
Tradotto, a questo Brescia serve l’aiuto di tutti per esaltare le punte?
«Sì. Dopo un’ottima partenza, c’è stato quel calo tremendo. Ora va lasciato il giusto tempo a Maran per inculcare nei ragazzi la sua mentalità e le sue idee di calcio. Sto vedendo un Brescia più volitivo, più propositivo».
Secondo lei che campionato può fare?
«Dipende dagli obiettivi e da quello che vorrà fare il presidente a gennaio. Se riuscirà ad arrivarci almeno a metà classifica, poi in B basta poco per spostare gli equilibri».
Una metà classifica da conquistare partendo dalla sfida alla Samp di domenica, magari ricordando quell’exploit del ‘97?
«Se può essere d’aiuto quel ricordo, perché no?».
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