Calcio

Gianluca Vicini: «Mio padre, Totò Schillaci e un calcio che non c’è più»

Il figlio di Azeglio, c.t. delle notti magiche, ricorda l’eroe di Italia 90: «Sembrava un bambino in un negozio di caramelle, ma in un calcio che non coltiva più il talento farebbe fatica anche lui. Papà ricordava col sorriso il gol all’Austria»
Totò Schillaci, l'eroe delle notti bianche - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Totò Schillaci, l'eroe delle notti bianche - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
AA

Quella di Totò Schillaci è una storia che a distanza di quasi quarant’anni emoziona ancora. Le notti magiche, una Nazione intera a scandire il suo nome nelle piazze, nelle vie, davanti al televisore. Quell’Italia fu in grado di catturare il sentimento popolare forse come nessuna, pur non portando a casa il trofeo più anelato, quello del Mundial nel salotto di casa.

Alla guida degli azzurri, nel 1990, c’era Azeglio Vicini, un figlio acquisito di Brescia. Sei anni fa, quando se ne andò a ottantaquattro anni, Schillaci disse di aver perso un pezzettino di sé. Con Totò, oggi, se ne va un pezzettino di tutti noi: «Il simbolo di quella stagione, un frammento di storia del nostro Paese» ci racconta Gianluca Vicini, figlio di Azeglio. Oggi fa l’avvocato, ma per lui il calcio è sempre stato un affare di famiglia, oltre che una passione.

Su quelle notti magiche c’è la firma di suo padre, che puntò su Schillaci, lo gettò nella mischia e non se ne privò più. Ci racconta il loro rapporto?

«Totò ha sempre detto di dover molto a papà, ma credo il sentimento fosse reciproco. Mio padre gli diede l’occasione, e lui fu bravo ad approfittarne: segnare sei gol in un Mondiale, del resto, non è certo una banalità…».

Gianluca Vicini oggi è avvocato - Foto New Reporter Checchi © www.giornaledibrescia.it
Gianluca Vicini oggi è avvocato - Foto New Reporter Checchi © www.giornaledibrescia.it

Diciamo che i meriti sono condivisi.

«Convocarlo fu un atto di coraggio, per certi versi. Quando mio padre venne nominato commissario tecnico, nell’86, gli venne chiesto di allestire una squadra competitiva per il Mondiale del ’90. Lui lo fece affidandosi al gruppo dell’Under 21, che aveva allenato in precedenza, e inserendo qualche volto nuovo: uno di questi era Baggio, e l’altro Schillaci. Non dimentichiamo che all’epoca entravano in distinta soltanto sedici giocatori, gli altri sedevano in tribuna. Schillaci cominciò da riserva, ma portarlo in panchina significava già averlo preferito ad altri grandi nomi. Papà puntava tanto su di lui, dall’inizio».

Ha parlato di coraggio. Quello di scommettere sui giovani manca oggi al nostro sistema calcio?

«Il tema è anche di programmazione: la Spagna che vince l’Europeo è guidata da De la Fuente, che arriva alla selezione maggiore dopo una tappa intermedia in Under 21. Mio padre entrò nel giro delle Nazionali nel ’68, e all’epoca la Federazione cresceva allenatori che potessero diventare commissari tecnici. Gli stessi club consideravano i settori giovanili un investimento: il Milan ha avuto per vent’anni una difesa mondiale con i Maldini, i Baresi, i Costacurta. Talenti cresciuti nel vivaio, senza dover scucire un euro».

Azeglio Vicini in una foto d'epoca - © www.giornaledibrescia.it
Azeglio Vicini in una foto d'epoca - © www.giornaledibrescia.it

Cosa serve per tornare a essere virtuosi sotto questo aspetto?

«È un processo lungo. A mio papà non veniva chiesto di vincere l’Europeo Under 21, ma di formare giocatori per la Nazionale maggiore. Oggi persino nei dilettanti, o nei vivai, si esige il risultato immediato dagli allenatori. E così si trascura la crescita dei ragazzi. In questo calcio farebbe fatica anche Schillaci».

Addirittura?

«Eh sì. Era un uomo d’area, un istintivo. Non giocava per la fase di non possesso, o la marcatura preventiva. Tirava in porta e la metteva dentro. Così si rischia seriamente di imbrigliare il talento».

Ci racconta un aneddoto su suo padre e Schillaci?

«Il primo flash è il gol contro l’Austria: un giocatore alto un metro e settantacinque che stacca tra due colossi e va a bersaglio. Papà lo ricordava sempre con il sorriso. “Guarda com’è il calcio”, ripeteva come una litania. Ecco perché dico che era un istintivo, sapeva essere sempre nel posto giusto al momento giusto. Il fatto che lui e Vialli, di cui ricordo la vitalità e l’energia che esprimevano, siano morti così giovani, mi colpisce nel profondo. Totò in quel Mondiale sembrava un bimbo in un negozio di caramelle: l’anno prima giocava al Messina in serie B, e a distanza di pochi mesi stava vivendo il sogno di tutti i calciatori».

C’è qualcuno tra i giocatori in attività che glielo ricorda?

«Forse Retegui: un uomo d’area, con un grande senso del gol. Un finalizzatore vecchio stampo».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato

Icona Newsletter

@Sport

Calcio, basket, pallavolo, rugby, pallanuoto e tanto altro... Storie di sport, di sfide, di tifo. Biancoblù e non solo.