Cellino torna a parlare del Brescia sull’Unione Sarda: «Sono vittima»

Massimo Cellino torna a parlare, e lo fa con il quotidiano di casa sua, l’Unione Sarda. In una lunga intervista pubblicata dal giornale questa mattina l’imprenditore ha ripercorso i 35 anni di carriera nello sport, soffermandosi anche sull’esperienza bresciana.
Il rapporto con Brescia
Alla domanda «Le manca il calcio dopo i fatti di Brescia?» Cellino risponde con un categorico «no. Non c’è più il calcio che conosciamo», parlando poi del Brescia, preso, dice, perché «allettato all’inizio. Ero convinto che ci fosse una società molto più organizzata. Io, arrivato dall’Inghilterra, pensavo di spenderci un giorno al mese, a Brescia. Invece mi sono reso conto che c’erano molti più debiti di quelli che mi avevano dichiarato. C’erano 12 milioni di debiti Iva e me li hanno chiesti il giorno dopo che sono arrivato. Sono riuscito a salire in serie A, poi è arrivato il Covid. Ma soprattutto c’è stata tanta cattiveria, tanta malvagità, io non riesco proprio a capirlo. Però è il posto malvagio. Se una società, in 115 anni, ha fatto 10 serie A e 105 in altre categorie non è colpa di Massimo Cellino. C’è il maligno là dentro. A parte il fatto che il compleanno del Brescia è il 17 luglio. Se l’avessi saputo, col c... che l’avrei comprato».

«Vittima delle circostanze»
Sui fatti avvenuti quest’estate continua a ritenersi vittima. «Io non mi sento, io sono vittima di una serie di circostanze negative, con una Sampdoria che non deve retrocedere perché ha 200 milioni di debiti e ha garanzie con delle banche e con la Federazione (…). La mia disgrazia è stata la coda del diavolo».
A proposito di diavoli, demoni e maligno, se tornasse in città, dice, la prima cosa che farebbe è fare tappa nella cappella ex voto che aveva costruito dopo la promozione in serie A. «Anche se il maligno si è accanito in una città dove la bestemmia è troppo diffusa. Una cosa che non ho mai tollerato».
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