Il Brescia vince con la profondità di anima, gioco e panchina lunga

Quello che le statistiche non raccontano, quello che i numeri non catturano: ed è proprio lì, in quello che non può rientrare nelle raccolte delle statistiche o degli algoritmi, che si cela tanta parte del bello del Brescia. È quel qualcosa che ha a che fare con l’aspetto umano, con le sensazioni, l’empatia e le affinità. È quello che è «arrivato» – ben oltre un pur eloquente e inappellabile 4-0 al Frosinone – sabato pomeriggio. La squadra di Rolando Maran sa come fare rotta sul cuore e pazienza se ha perso il primato in classifica ripreso dal Pisa di Inzaghi: sabato in scena andrà un gustoso testa a testa.
La doppia impasse Cittadella-Reggio Emilia è già un ricordo sbiadito. E col senno di poi, passata l’ansia – probabile retaggio di un doloroso passato per il quale lo sviluppo degli anticorpi è ancora in corso – quei due passaggi a vuoto possono persino aver fatto bene. Chissà. Quel che è certo, ciò del quale c’è la riprova, sono i fatti ottimamente esposti dal Brescia tra Bolzano e la partita con il Frosinone con in mezzo una sosta sfruttata ad arte. Ma dicevamo di un aspetto umano, quel «non so che» che esula dai concetti del calcio, ma che pure nel calcio riveste un ruolo chiave se c’è da giocarsela ad alti livelli con chi sulla carta ha più di te.
Il racconto
Un piccolo episodio. Nel momento in cui sabato dalla panchina è stato chiamato Moncini per sostituire l’eroe di giornata Juric, pur nella concentrazione di una partita che era già chiusa, ma che si voleva rimanesse immacolata e senza sbavature, Rolando Maran ha avuto la sensibilità di chiamare a sé Gennaro Borrelli che aveva fatto di tutto per esserci contro la sua ex squadra e di spiegargli perché non lo avrebbe messo in campo: «Sapevo quanto ci teneva, ma non volevo rischiasse qualcosa in una partita che ormai si era messa in un certo modo. Gliel’ho spiegato, l’ha capito e lo ha accettato», ci ha raccontato a commento il tecnico, che con Borrelli nella circostanza si è anche abbracciato.

Eccola qui la profondità dell’anima del Brescia. Eccolo qui il «fattore X» delle rondinelle dentro un gruppo nel quale ciascuno recita la propria parte quando deve e quando serve. Tante possibili star di giornata, nessuna star. Mentre sul campo, il gioco sarà pure «spicciolo» come lo aveva definito Vivarini in vigilia di partita contro i suoi ciociari, ma di certo è tremendamente efficace e anche... elaborato nella sua semplicità.
La panchina
Quando il Brescia si mette in manovra – rivedersi la dinamica dell’1-0 – c’è un qualcosa di avvolgente. E, anche qui, di profondo. E c’è un plus rispetto allo scorso anno: finalmente il Brescia ha una panchina. Degna di tale nome.
Sabato, quando Maran si è girato, ha visto – oltre ad Andrenacci e dei giovani che poi hanno potuto a vedere il loro attimo di gloria – Moncini, Borrelli, Dickmann, Bertagnoli, Bjarnason, Paghera e Bianchi (con questi ultimi tre che fin qui sono i più penalizzati dalle scelte). Sono nomi, sono risorse. Quelle che la passata stagione non si potevano gestire perché mancava la possibilità di scelta e di ricambi. La prospettiva ora è molto diversa e va dato pieno merito al club, Buhagiar (sabato non convocato) a parte, di non averci preso sui tre acquisti mirati Corrado, Verreth e Juric.
Com’è profondo il Brescia. Che sì: meriterebbe tanto, tantissimo affetto in più. Certi valori, non possono essere ricambiati con la moneta dell’indifferenza.
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