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Roberto Guizzi e lo sport come ragione di vita

L'attività sportiva centrale nella vita del 64enne, soprattutto da quando ha dovuto subire l’amputazione della gamba
Roberto Guizzi in azione - Foto Francesca Sana
Roberto Guizzi in azione - Foto Francesca Sana
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Se giochi a pallone prima o poi a Polpenazze ci devi andare, è il mantra che accompagna da sempre ogni calciatore dilettante della nostra provincia perché lì si disputa il torneo notturno più prestigioso. Roberto Guizzi, che ha da poco compiuto i 64 anni, vi è diventato presto protagonista perché già quando ne aveva 18 era titolare in Promozione col Valtrompia.

E per anni è stato una colonna dell’ormai mitico Resto del Maury di Sarezzo, la sola squadra ad aggiudicarsi il trofeo per tre volte consecutive. «Sì, ma quando io non giocavo più – scherza lui – con me al massimo sono arrivati terzi». A Polpenazze ha conosciuto anche la futura moglie, Paola Berardi, una delle prime donne arbitro del Bresciano. «Ero una testa calda – ammette oggi – spesso mi facevo cacciare ed ero capace di beccare squalifiche di mesi. Quando i suoi colleghi seppero che si era fidanzata con me, la sconsigliarono vivamente. Per fortuna lei non li ascoltò».

Destino

Polpenazze nel destino di Roberto anche quando decise di festeggiare lì i  60 anni con i tantissimi compagni di squadra che avevano accompagnato la sua carriera. E sul terreno gardesano, nel giugno del 2019, anche l’episodio che gli  ha cambiato la vita. «Mi avevano chiamato per una partita a scopo benefico, il cui incasso sarebbe stato devoluto alla ricerca contro la Sla. A Un certo punto ho sentito una fitta alla gamba destra, sono svenuto e mi sono svegliato all’ospedale». Terribile la diagnosi: ischemia al popliteo. «I medici mi prospettarono tre soluzioni: lasciare le cose come stavano esponendomi ad altissimi rischi di morte, amputare solo mezza gamba per rinviare senza risolvere il problema, o toglierla tutta. Dissi loro: giacchè ci siete, levatemela per intero».

Roberto la racconta così, come fosse la cosa più naturale del mondo. Una presenza di spirito eccezionale che gli ha consentito di superare la tempesta uscendone più forte di prima. «È stata dura solo i primi due mesi, poi ho trovato la protesi giusta che mi consentisse di essere autonomo». Roberto così  è subito tornato al timone dell’azienda tirata su assieme ai fratelli dopo la prematura scomparsa del papà e soprattutto ha ripreso a fare sport, eterna passione. Ed oggi è tra i più forti atleti paralimpici italiani della sua categoria.

Forza d’animo

La squadra Icaro è per tanti un grande punto di riferimento
La squadra Icaro è per tanti un grande punto di riferimento

Molto lo ha aiutato la mentalità agonistica che lo ha accompagnato  in ogni fase della vita. «Correvo già prima dell’incidente non ne potevo più di fare discussioni con gli avversari sui campi di calcio. Allora, quando ormai avevo quasi 50 anni, ho pensato fosse meglio litigassi da solo in uno sport individuale». Al suo attivo tredici maratone, una delle quali terminata in poco più di tre ore e una Cento Chilometri del Passatore conclusa in meno di 11 ore e mezza. La stessa volontà lo distingue oggi: agli ultimi campionati italiani paralimpici indoor si è cimentato anche nelle gare di velocità. «L’unico problema c’è stato nella gara dei 200 quando in partenza mi hanno posizionato nel punto più alto della pista, da cui sono scivolato. Inevitabile la squalifica anche se tutto il Palasport ha fischiato la decisione».

Roberto alla Bam 2023 con la maglia di Icaro nella sua categoria ha conquistato l’oro nel tricolore su  strada sulla distanza di 10 km. Ora sta preparando un triathlon e si allena due giorni alla settimana in piscina, due in palestra e due correndo. Guizzi non sta mai fermo, il suo entusiasmo ha convinto altre persone colpite da gravi incidenti che c’è sempre una seconda possibilità. «All’inizio non mi piaceva mettermi in mostra, poi quando ho capito che la mia esperienza poteva essere da esempio per gli altri non mi sono più tirato indietro». Non considera quanto avvenuto una disgrazia, semmai un’opportunità.

«Sono sempre stato vicino ai portatori di handicap per il grande rapporto che mi lega a Maurizio Camossi, in sedia a rotelle da quando era bambino.  Ora tra i disabili ci sono anch’io ed è un mondo che ho la fortuna di conoscere già». Lo dice con la luce negli occhi, non a caso il suo motto è «la magica follia di un sorriso».

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