Maria Luisa Garatti, correre più forte della sclerosi multipla

Un foglio scivolato tra le mani, ritrovarsi a terra senza capire perché, non riuscire ad allacciarsi un bottoncino della camicetta. I sintomi spesso arrivano così e Maria Luisa Garatti, avvocato civilista di Brescia, dopo che li ha avvertiti ha scoperto - al termine di una lunga serie di esami - di avere la sclerosi multipla nel modo più beffardo, il giorno del trentasettesimo compleanno, il 17 maggio di 16 anni fa. Ancora non sapeva che, negli stessi giorni, viveva la stessa drammatica esperienza Marina Parisio, con la quale ora sta combattendo la malattia sui campi di atletica e non più nelle corsie degli ospedali. Il 26 marzo dello stesso anno, l’operaia di Erbusco era stata gelata dalla medesima diagnosi dopo che una mattina si era svegliata con metà corpo paralizzato.
Per dieci anni, le due donne - senza conoscersi - hanno condotto vite parallele, caratterizzate dagli stessi problemi. «Il rapporto con gli altri era cambiato - ricorda oggi Marina -. Mi infastidiva lo sguardo pietoso e compassionevole della gente». Per Maria Luisa, anni e anni passati su un divano, tormentata dai cattivi pensieri. «Non vedevo nulla di buono attorno a me e la vita mi sembrava senza senso». Ognuna per la sua strada, un po’ alla volta si sono avvicinate allo sport. «Provai lo yoga - ricorda Marina -, traendone grande benessere interiore».

La scossa
La Garatti, invece, venne letteralmente trascinata fuori casa dalla carissima amica Simona. «Mi fece conoscere il suo personal trainer, andai ad allenarmi con lui, alla fine pensai di essere andata malissimo. Al contrario: mi disse che quando correvo cambiavo espressione e il volto si apriva a un sorriso. Mi invitò a insistere». Lei raccolse alla lettera il consiglio, tanto che nel 2016 assieme al fratello Massimiliano andò a correre la maratona di Brescia, chiusa in poco più di 4 ore e mezza. «Al traguardo mi aspettava il dottor Gabriele Rosa, e mi propose di portare a New York podisti che, come me, avevano la sclerosi multipla. Seppi che a Erbusco c’era una ragazza affetta da quella malattia e la chiamai». Ricorda Marina: «Proprio quella notte sognai che avrei ricevuto una proposta simile da una donna mai sentita prima. Maria Luisa mi travolse subito col suo entusiasmo. Avevo da poco cominciato a muovermi anch’io e in un battibaleno mi trovai a gareggiare nella corsa più famosa al mondo».
Amicizia
Da allora, non si sono più perse di vista. Ora sono compagne di squadre di Icaro e dopo aver fatto incetta di medaglie ai Campionati individuali paralimpici di atletica, fra due settimane andranno all’assalto anche del titolo a squadre. Incomprensione. Non sempre questa malattia porta alla sedia a rotelle. Anzi, nel 75% dei casi, grazie ai progressi della ricerca scientifica, non si ha necessità di usarla. Questo paradossalmente crea un problema in più. «Gli altri non ti comprendono, la sclerosi multipla non si vede ma si sente - spiega la Garatti, che ha parlato della propria esperienza anche in un libro -, e si può manifestare in modi diversi, dai disturbi visivi a quelli della sensibilità, dalla perdita di memoria all’incapacità di conservare la concentrazione, dalla stanchezza fisica a quella mentale». Una volta lo sport era sconsigliato, oggi, grazie anche all’esempio di Maria Luisa e Marina, è diventato addirittura una terapia. «Da quando lo pratico - sottolinea la Parisio -, non ho più avuto ricoveri in ospedale».
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L'associazione
La Garatti ricorda con un sorriso: «Il neurologo che mi seguiva non accettava neppure l’idea che io andassi a correre. Quello che mi cura oggi si è dato al podismo grazie a me, e sono io a passargli le tabelle di allenamento». Le due donne sono tra le fondatrici e animatrici dell’associazione «Se vuoi puoi», che si propone di spingere altri malati a praticare attività fisica e di raccogliere fondi per la ricerca. E molte delle persone coinvolte hanno ricominciato a vivere un’esistenza migliore da quando sono entrate nel gruppo. Il loro messaggio? «Abbiamo imparato a vivere ogni attimo come un dono prezioso, come fosse l’ultimo momento della nostra vita. Nulla va perso e tutto è importante. Poi domani vedremo».
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