La famiglia Spahiu e quell’amore per i guantoni

La fuga di notte nel 1991, da Durazzo e da una crisi economica che accompagnava il colpo di coda della dittatura albanese, da qualche anno orfana del capo supremo Enver Hoxha. L’approdo in Italia e la dislocazione in un centro di accoglienza in Valtrompia, dove nasce Alessio.
La successiva «adozione» da parte della comunità di Capriolo, in cui la famiglia Spahiu - papà Zenel, mamma Metushka, il piccolo Endri, il neonato Alessio - si ambienta con il supporto delle suore Poverelle, e dove ancora oggi gestisce il locale Quagliodromo. I ragazzi che, crescendo, si avvicinano alla boxe, dove eccellono nella categoria dei pesi massimi, fino a guadagnarsi la maglia della nazionale, con cui hanno collezionato medaglie e titoli da dilettanti. Quindi il professionismo.
«Portrait of Spahiu» - disponibile in streaming sulla piattaforma Chili - è un documentario biografico familiare che, pur mettendo a fuoco in particolare la parabola sportiva di Endri, abbraccia con puntuali pennellate la traiettoria umana di un nucleo di origine straniera che rappresenta un esempio di felice inserimento nel tessuto sociale nella nostra provincia.
Lo ha girato il videomaker iseano Joseph Corvino (che ha pure incrociato i guantoni con i due fratelli), insieme al collega rovatese Filippo Palmesi: concluso già nel 2019, il mediometraggio è andato in post produzione alla vigilia del lockdown, allungando i tempi di gestazione anche in seguito alla richiesta di Chili di inserire i sottotitoli per il mercato straniero.
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Da allora è cambiato parecchio, con Endri che ha appeso i guantoni al classico chiodo, terminando la carriera da pro (il suo record: 9 vittorie, 2 sconfitte), ma preparandosi per fare il tecnico, da vero innamorato della noble art; mentre Alessio ne ha raccolto il testimone, firmando un contratto da professionista con la Promo Boxe Italia di Mario Loreni.
Tra i momenti del film che restano nella memoria, un paio spiccano più di altri. Nel primo, trattenendo a stento la commozione, Zenel rivive la partenza precipitosa da Durazzo (dove lavorava nei cantieri navali), insieme alla moglie incinta di sette mesi e al piccolo Endri, che aveva poco meno di quattro anni. Nell’altro, Endri stesso rende un caloroso omaggio alla valenza formativa della boxe (disciplina, rispetto, spirito di sacrificio), argomentando con naturalezza: «Non so se mio figlio farà pugilato; di sicuro lo crescerò con i valori del pugilato».
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