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L'allenatore di Jacobs: «Mancava la giusta intensità, sarebbe servito più tempo»

Parla Paolo Camossi, poche ore dopo la decisione del campione olimpico di ritirarsi dai Mondiali di atletica
Paolo Camossi, allenatore di Marcell Jacobs - Foto New Reporter Nicoli © www.giornaledibrescia.it
Paolo Camossi, allenatore di Marcell Jacobs - Foto New Reporter Nicoli © www.giornaledibrescia.it
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Marcell Jacobs decide di non incontrare i giornalisti dopo la rinuncia alla semifinale dei 100 metri.

Così a raccontare tutti i dettagli è il tecnico del desenzanese, il goriziano Paolo Camossi, a cui spetta quindi il compito di fare luce sull’addio del bi campione olimpico alla manifestazione di Eugene.

La prima domanda è spontanea: Jacobs era davvero guarito prima dei Mondiali?

«A Beaverton abbiamo lavorato bene, i dolori erano andati via. Lui si sentiva bene, ma ovviamente c’era un’incognita».

Quale?

«L’alta intensità. È una brutta bestia che i muscoli fanno fatica a digerire, perché devono abituarsi in maniera graduale. Purtroppo non abbiamo avuto il tempo necessario. Questo è stato forse l’unico errore, ma volevano a tutti costi partecipare al Mondiale».

Cosa è successo in batteria?

«Marcell è partito bene, poi quando si è alzato ha sentito una fitta all’adduttore che gli ha impedito di essere se stesso. Ha rallentato per evitare danni».

Cosa avete fatto dopo la gara?

«Abbiamo cominciato la terapia, che è continuata fino a notte. Sabato si è svegliato indolenzito, sono state fatte altre terapie e per scrupolo anche un’ecografia, che ha evidenziato la contrattura».

Come è stata presa la decisione di rinunciare?

«L’ultima parola è stata del gruppo. Sapevamo che non si sarebbe vinto con 9"76, quindi rimanere fuori è stata una decisione difficile, ma non si poteva rischiare. Compromettere adesso un muscolo avrebbe significato finire la stagione e non volevamo che questo accadesse. Cercheremo ora di arrivare agli Europei in condizioni di sicurezza».

Il vostro programma? Resterete a Eugene o tornerete in Italia?

«Valuteremo se andare subito a Roma o fermarci qui ancora qualche giorno».

Warholm si è fatto male a inizio giugno, si è immediatamente fermato, ha messo nel mirino i Mondiali e qui ha corso bene. Come mai nel caso di Jacobs ci sono stati invece degli intoppi?

«Non so l’entità del danno che aveva il norvegese, conosco invece quella di Marcell. Sono sicuro che Jacobs è stato assistito, curato e seguito nel migliore dei modi. Se la gara fosse stata tra dieci giorni, quel periodo di attitudine all’alta intensità avrebbe agevolato la sua cavalcata».

Come è adesso l’umore del desenzanese?

«È sereno e tranquillo. È stato strano vedere semifinali e finale seduti su una sedia uno accanto all’altro. La volata decisiva ci ha fatto capire che non c’è un dominatore assoluto della velocità in questo momento».

Secondo lei è ancora Marcell quindi l’uomo da battere?

«Se sta bene sì e lo dico con tranquillità. Lui ha necessità di correre libero, se lo fa non ci sono rivali. A Savona, agli Italiani e qui ha sempre corso col freno tirato».

Come giudica questa catena di eventi negativi?

«Ci sono state situazioni incontrollabili. A Nairobi stava bene, ma si è preso il virus. A Savona era tornato in forma, ma un movimento strano fatto sul blocco ha creato un contraccolpo e da lì sono iniziati i guai muscolari, che però non c’entrano niente con la situazione creatasi qui».

Quindi la contrattura all’adduttore non è legata al fastidio al bicipite femorale?

«No, l’adduttore è quello della coscia destra, mentre il precedente problema era alla gamba sinistra. Le due cose non sono collegate. Le analisi della batteria ci dicono che nei primi dodici metri Marcell era più veloce che a Tokyo. Poi quando si è alzato, l’adduttore ha dato una tirata e quindi ha frenato. È stato solo un problema di alta intensità. Pur correndo a metà servizio ha fatto 10"04. Lui per correre deve essere libero, questo è il grande dispiacere per il Mondiale».

Paradossalmente se avesse corso la semifinale in 10"04 sarebbe entrato in finale.

«Sì, ma dopo ci sarebbe stata solo un’ora e 50 per riprendersi e sarebbe stato impossibile farsi trovare pronto».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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