Jacobs, l’argento è vivo? Perché credere (o no) al Mondiale dei 100

Ci sono calciatori che, appena ricevono la medaglia d’argento al termine di una finale persa se la tolgono immediatamente. Marcell Jacobs non appartiene a questa categoria, così sul podio di Istanbul è apparso sorridente nonostante il colore del metallo sul suo petto non fosse quello desiderato. Al termine dei 60 metri dell’Europeo indoor di Istanbul ha reso onore al compagno di squadra Ceccarelli. Avrebbe potuto abbandonare zoppicante la scena e amplificare il suo dolore fisico, ha invece continuato la recita esaltando colui che lo aveva battuto. Campioni si nasce e Marcell sin da piccolo ha sempre rispettato l’avversario.
Dettagli
A queste due istantanee ne va aggiunta un’altra: sul tabellone luminoso accanto al crono del bresciano è apparsa ancora la sigla «SB», ossia primato stagionale. Per la quinta volta dopo Torun, Tokyo, Belgrado e Monaco, anche in Turchia nell’appuntamento clou Jacobs ha dato il meglio di sè. In Polonia non aveva rivali, in Giappone è andato oltre l’inimmaginabile, in Serbia il corpo lo aveva sorretto e aveva quindi sfoderato quella che sinora è la miglior volata della carriera (6’’41 e americani trafitti al fotofinish), in Germania e in riva al Bosforo è arrivato in finale zoppo e incerottato, eppure semplicemente con la testa ha stampato il miglior tempo dell’anno. Ad agosto bastò per l’oro, adesso no.

Se quindi il trionfo bavarese attutì le note negative, la caduta di Costantinopoli, oltre a portare in dote la medaglia, la forza mentale e la concentrazione sul grande evento, pone sull’altro piatto della bilancia altrettanti elementi negativi: la fragilità del corpo, la difficoltà nella messa in moto e l’adattamento alle scarpe. Il Kaiser non è diventato Sultano perché il suo fisico non ha retto 19 secondi di sforzo spalmati in undici ore. Siccome non è la prima volta che accade, c’è qualcosa che non va. Che i suoi muscoli siano delicati è noto da anni, ragion per cui ha abbandonato il lungo per darsi allo sprint.
Finora la mente aveva sopperito alle mancanze, ma se davvero ad agosto si vorrà piantare la bandierina in vetta al mondo sui 100, allora la stagione all’aperto va programmata senza improvvisazioni dell’ultimo minuto, deleterie per un telaio debole.
Le scarpe
Se le indoor dovevano essere una tappa intermedia verso lo sforzo sui 100, le uscite invernali hanno amplificato altre due criticità. Innanzitutto le modifiche allo start hanno cambiato la ritmica, così per mettersi in moto Jacobs ha bisogno di più spazio: allo sparo ha reagito meglio di Ceccarelli, eppure dopo 40 metri il toscano era mezzo passo avanti.
Gli ultimi 20 metri di semifinale e finale hanno invece evidenziato che nella fase lanciata i buchi ravvisati a Lodz, Lievin e Ancona erano da attribuire delle scarpe. Jacobs è diventato campione olimpico anche perché a Tokyo ha tratto profitto meglio degli altri dall’arrivo delle calzature di nuova generazione: più performanti se perfettatemente integrate con i piedi. Come gli sciatori o le vetture di Formula Uno hanno bisogno di tempo per i materiali, così un atleta non può cambiare le scarpe tre giorni prima dell’esordio. È stato affrettato indossare le nuove calzature Puma già a inizio febbraio, sia perché la preparazione era stata fatta con le Nike, sia perchè nel settore è acclarato come prodotti di fornitori diversi siano posizionati su diversi livelli di rendimento. Si ragioni quindi insieme al nuovo partner tecnico per capire come le «gomme» arancioni da sfoggiare nel 2023 possano essere all’altezza di quelle verdi calzate sabato.
Dall’antica Bisanzio si torna quindi a Roma, facendo il viaggio inverso rispetto all’aquila imperiale, e portandosi dietro tre aspetti positivi e altrettanti negativi. Se i primi saranno valorizzati e i secondi cancellati aspettiamoci un’altra estate in salsa bresciana. Diversamente il canovaccio potrebbe essere simile al tribolato 2022. Di buono, intanto, ci sono le parole di Jacobs: «Ho ancora fame? Di più, sono ancora all’antipasto».
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