Stop all’immissione di coregone e trota nei laghi

La decisione è del Ministero dell'Ambiente. I pescatori sul piede di guerra: «Un danno enorme per l'economia»
Il coregone lavarello è una delle colonne portanti del pescato nel Bresciano - © www.giornaledibrescia.it
Il coregone lavarello è una delle colonne portanti del pescato nel Bresciano - © www.giornaledibrescia.it
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L’adozione da parte del Ministero dell’Ambiente dei criteri del decreto 102/2019 «per la reintroduzione e il ripopolamento delle specie animali autoctone» ma anche «per l’immissione di specie e popolazioni animali non autoctone nel rispetto di salute e benessere delle specie», sta creando molto allarme tra i pescatori bresciani e italiani, e tra tutti i professionisti della filiera della pesca di laghi e fiumi.

Questo decreto stabilisce che la specie con cui da decenni si ripopolano maggiormente le acque dei laghi di Garda e Iseo, cioè il coregone lavarello, e quella con cui si fa il medesimo lavoro in fiumi e torrenti, cioè la trota fario, non potranno più essere incubate e liberate nelle nostre acque dolci. L’articolo 2, comma 1, lettera o-sexies del decreto del presidente della Repubblica 357 del 1997, le definisce infatti «non autoctone», perchè «non facenti parte originariamente della fauna indigena italiana».

Il documento che il 24 maggio scorso il Ministero della transizione ecologica ha inviato a tutti gli Uffici caccia e pesca, a Regioni e Province, all’Ispra, e ai Ministeri di Salute e Politiche agricole, alimentari e forestali, precisa che «il limite temporale prima di cui una specie o una popolazione non autoctona (non originaria del territorio) può dirsi assimilata per motivi storici a una specie o popolazione autoctona (originaria del territorio), sia da collocare all’anno 1500». Un arco di tempo troppo lontano anche per il coregone, di cui secondo documenti ufficiali la prima produzione a cura dell’uomo risale al 1860, nell’incubatoio Fiume-Latte, sul lago di Como.

Oggi il tempo per correre ai ripari non è molto. L’iter legislativo prosegue e avanti di questo passo le colonne del pescato professionale e sportivo dei nostri laghi e fiumi - coregone e trota fario - potrebbero essere presto vietati. Le reazioni. Quello che in Lombardia, ma non solo, è visto dagli addetti ai lavori come uno spauracchio, si sta facendo così concreto. E ieri il rappresentante dei pescatori del lago d'Iseo, Raffaele Barbieri, ha detto di credere che «la campagna ittiogenica per il coregone del Sebino e del Garda in programma tra dicembre 2021 e gennaio 2022 sia già da considerare persa».

Un danno non da poco per l’economia dei due laghi di casa nostra, considerato che mediamente nel gigante gardesano vengono immessi ogni anno tra i 40 e i 50 milioni di piccoli coregoni, e nell’Iseo tra i 4 e i 5 milioni. Ma c’è molto di più. Secondo l’assessore regionale ad Agricoltura e alimentazione Fabio Rolfi «in Lombardia operano 150 imprese per la pesca professionale e ci sono 70.000 pesca-sportivi che generano un movimento turistico per almeno 14 milioni di euro l’anno a favore dei piccoli paesi. La scelta del Ministero - per Rolfi - è frutto di una visione ideologica della realtà, controproducente e anacronistica». Una posizione che accomuna anche il rappresentante della pesca gardesana Marco Cavallaro e il vicepresidente dell’Unione che gestisce gli incubatoi ittici di Desenzano e Iseo Germano Bana, già al lavoro per elaborare un documento da presentare al Ministero.

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